Daniele Nardi: La vetta del Nanga Parbat? È più importante la vita di Ali
L’alpinista italiano stamattina ha illustrato in conferenza stampa la spedizione 2015 sull’Ottomila himalayano che resta inviolato in invernale. Lui, Txikon e Sapdara sono giunti a 7.830 metri, quota che nessuno mai ha raggiunto in inverno; poi hanno abbandonato il tentativo perché il pakistano era in preda al mal di montagna
Foto Filippo Thiery (Meteorologo Rai3 Geo), Ahmad Farood (Console presso l’Ambasciata del Pakistan in Italia); Paolo Bonini (Moderatore), Roberto Delle Monache (Alpinista), Daniele Nardi (Alpinista)
Daniele Nardi stamani, in conferenza stampa ha ripercorso le tappe della spedizione invernale sul Nanga Parbat. Che come sappiamo è fallita per un soffio – sono giunti a 7.830 mt, lì dove in inverno mai nessuno è salito – a causa di problemi fisici (mal di montagna) ad Ali “Sapdara”. Ma la spedizione era cominciata in tutt’altro modo, con un’altra squadra (Revol, Manchiewicz e Delle Monache) ma anche su questo sappiamo come è andata col tentativo della francese e del polacco di raggiungere la vetta e coi problemi alla schiena di Roberto Delle Monache. Stamani, come dicevamo, la conferenza stampa di Nardi che col Nanga Parbat, per la terza volta, lascia un conto in sospeso…
LA VITA INNANZITUTTO “Anni fa scelsi di fare l’alpinista, feci una scelta verso la vita. Per me scalare le montagne vuol dire conoscermi e conoscere la vita. La responsabilità nei confronti di Ali ha superato di gran lunga qualsiasi cieco desiderio di vetta. E’ per questo che siamo scesi. Fossimo stati anche ad un solo passo dalla vetta la Vita è sempre più importante di qualsiasi altra cosa”.
“E’ con queste parole che Daniele Nardi – scrive l’addetto stampa dell’alpinista laziale, Riccardo Angelo Colabattista – esordisce scendendo dall’aereo a Fiumicino aeroporto. Ci investe facendoci sentire il suo dolore per non aver raggiunto una vetta, agognata da 30 spedizioni nella storia alpinistica e da lui stesso per ben 3 volte di fila. Tre intensi anni di vita dedicati ad un solo unico progetto, il Nanga Parbat in pieno inverno. Una dedizione ed un impegno che avrebbero potuto accecare chiunque alla ricerca spasmodica ad ogni costo della vetta. Ma non lui, difensore dei diritti umani, ha messo al primo posto la Vita.
TUTTI O NESSUNO ”Il gruppo costituitosi per caso, ha lavorato insieme ed unito in maniera incredibile e coraggiosa. Nessuno di noi ha avuto il dubbio sul fatto che in vetta “o tutti o nessuno”. Un concetto che è sempre più difficile trovare ma, alla nostra squadra, è venuto spontaneo. Il senso di responsabilità ha prevalso su ogni altra cosa. Non era pensabile lasciare Ali da solo nella discesa con le difficoltà che aveva in quel momento.
Io sono strafelice del risultato ottenuto. Il dolore per aver mancato la vetta passerà presto per lasciar spazio ad altri progetti. Mi piace pensare a quello che abbiamo fatto e non a quello che è mancato. Abbiamo la Vita salva. Alì è in fase di recupero: il principio di edema è risolto ed il congelamento riportato fino alla seconda falange dell’alluce non è grave; ad Alex si è riacceso un vecchio congelamento ma niente di serio; io ho perso molto peso che conto di recuperare velocemente. Questo per me è un grandissimo successo, un’esperienza densa e piena di avvenimenti.
IL TENTATIVO DI VETTA Abbiamo lottato nel tentativo alla vetta: 10 ore per arrivare a campo1 tracciando nella neve alta; seconda giornata dedicata a batter la traccia verso campo 2 (il rischio di valanghe era molto alto a causa delle copiose nevicate); terza giornata altre 10 ore per arrivare a C2; quarto giorno arriviamo a C3 sempre accompagnati dal forte vento che durante le notti non ci ha lasciati dormire. Finalmente il quinto giorno arriva il bel tempo che ci permette di arrivare a campo 4.
Il sesto giorno dopo aver scalato per circa 5 ore al buio, il dubbio di non esser sulla strada giusta è scoraggiante (in realtà, verificando le foto del percorso fatto, non eravamo così fuori strada) e il principio di edema che ha colpito Ali fa sfumare il nostro sogno di raggiungere la vetta. Abbiamo cercato di dare il massimo e questa è la soddisfazione più bella”.
SULLO SPERONE MUMMERY DA SOLO “Questa è la squadra che avevo sognato ed organizzato per il tentativo di salita attraverso lo sperone Mummery. Pur rimanendo da solo dopo la scelta di Elisabeth Revol di proseguire con Tomek Mackiewitz e successivamente le condizioni fisiche di Roberto Delle Monache che lo costringono al campo base, ho deciso di continuare con la scalata dello sperone Mummery in solitaria. Sono salito più volte sullo sperone fissando i campi fino al campo 3 di 5600m. Da qui ho affrontato la parte tecnicamente più impegnativa raggiungendo una quota di 6200m. L’uscita dello sperone sul plateu sommitale è ad una quota di 6650m. L’esperienza solitaria più bella della mia vita.
So che al momento siamo tutti concentrati sui quei metri che mancavano alla vetta passando per la Via Kinshofer, ma vi garantisco che sullo sperone Mummery c’è una storia bellissima da raccontare. Un tentativo solitario che quest’anno si ferma a 6200m solo perché una valanga aveva distrutto il campo 3 poco più in basso. Ma questa storia preferisco raccontarvela attraverso le immagini che la SD Cinematografica metterà insieme nel documentario di prossima uscita.”
Nardi riporta la citazione di un articolo pubblicato su Mount Live
Nardi dice: ci piace riportare le parole scritte su Mount Live… “La montagna Killer fallisce. Nardi ci ha provato e probabilmente non si arrenderà… ma in questa invernale, per fortuna, a fallire è stata anche la montagna; la “Montagna Killer” (percentuale dei decessi di oltre il 28% seconda solo all’Annapurna ) non si è presa le loro Vite!”
NOTA Il diario in presa diretta della spedizione sulla nuova edizione di “In vetta al mondo” edito da BUR in libreria dal 16 aprile 2015 e disponibile in e-book.