Il racconto di Marco Majori sulla nuova via (Directa Italiana) aperta sulla parete sud dell’Illimani
Marco Majori dalla Bolivia ci ha inviato l’entusiasmante racconto della scalata sulla sud dell’Illimani insieme a Marco Farina; i due alpinisti italiani hanno aperto una nuova via sulla terza vetta boliviana dopo essere stati anche sulla Huayna Potosi
Illimani campo base, 15 Giugno 2015.
Farina dorme come un sasso, io non ce la faccio, ho le spalle a pezzi e non nascondo un pizzico di eccitazione. Nel torpore del sacco a pelo ripenso a ciò che abbiamo fatto e mi viene voglia di scrivere.
La Paz capitale della Bolivia, primi di giugno.
Que quilombo! Il traffico, la frenesia e il cemento, tipici delle grandi città ci fa subito volgere lo sguardo verso le cime innevate che dominano la capitale dall’orizzonte.
Passiamo comunque i primi due giorni ad organizzarci e a fare i turisti per caso. Ciò che mi ha colpito di questa “gondopoli”, oltre allo smog, è il fatto che l’urbanizzazione copre ogni centimetro quadrato di una grande conca che va dai 3600 ai 4000 mt della periferia. Le due zone sono collegate da linee di funivie Doppelmayr di ultima generazione: c’è la rossa, la gialla, l’azzurra… Proprio come le linee metropolitane delle grandi città!
A parte il fatto che salendoci mi sono sentito a casa ed ho goduto di una vista spettacolare; penso sia un modo geniale per spostarsi a basso costo limitando l’inquinamento ed il traffico.
Huayna Potosi dal 5 al 9 Giugno. Acclimatamento.
Già percorrendo le ripide strade di La Paz ci eravamo accorti di quando fosse faticoso il respiro.
Decidiamo quindi di passare qualche giorno tra i 4800 e i 6088 mt., con l’unico obiettivo di prendere confidenza con l’alta quota. Tra il mal di testa costante e l’insonnia quasi perenne portiamo a casa 2 cime: il picco Milluni 5600 mt. circa ed il famoso Huayna Potosi 6088 mt. in circa 3 ore dal rifugio Anselme Baud. Considerato che la media di salita in cima è intorno alle 5 ore, decidiamo che la prima fase della nostra avventura possa terminare. Rientriamo a La Paz dopo 5 giorni passati per fare amicizia con le insidie dell’alta quota.
Illimani parete sud dal 12 al 14 Giugno.
“…È una forma d’arte da praticare. Ci vogliono anni per padroneggiarla, eppure alla fine è tutta intuizione”
Una parete sud molto simile alle nord alpine per austerità, ripidezza, difficoltà, lunghezza. Chiaramente senza contare la quota.
Le linee già tracciate non sono molte, ma gli apritori provengono da tutto il mondo. C’è ancora spazio in centro. Manca la firma italiana!
Cinque le ore che ci separano dalla città al campo base di Las Minas.
L’ultima ora di viaggio merita però una nota; in quanto il Pick-Up Toyota Hylux 2.7 ed Aldo, l’autista, penso si siano superati.
Più e più volte in quell’ora mi sono chiesto: “Ma perché non scendiamo ed andiamo a piedi?”
L’ultimo tratto prima della meta non era altro che una traccia a tornanti tra i massi della ripida morena.
Ad un certo punto il clima era diventato tipico di quello di una gara, con tanto di tifo ed ole. In palio c’era il premio per il più veloce a porre i sassi dietro le ruote per le ripartenze ed al più stiloso a salire sul cofano per garantire la trazione del mezzo).
Arriviamo al campo di Las Minas e prima ancora di scaricare gli zaini dal mezzo, iniziamo con lo sbinocolamento della parete, neanche fosse un’entità divina, per non dire altro.
La nostra trans viene interrotta solo da Aldo che ci chiede se va bene dove ha riposto gli zaini e ci saluta con un “suerte”, un sorriso ed una calorosa stretta di mano.
Rimaniamo con Felix ed Eric, portatori e cuochi degni di stelle Michelin e ricadiamo nella nostra dolce trans.
“Che sfortuna, lì sono già passati i Francesi. Caspita, la linea dei Japan è super. Matti, gli Argentini sotto quei seracchi. Però! Le goulottes del Franco-Boliviano Mesili…”
“Majo” sbotta Farina “Attacchiamo in centro, sulla linea dello sperone, sotto i piccoli seracchi di sinistra” ed io un po’ perplesso per i seracchi, considero un’infinità di fattori e dopo un tempo incalcolabile replico deciso: “Ok! Domani alle prime luci attacchiamo i primi tiri di roccia”.
Alle 4:00 siamo in pista e dopo circa 2 ore dal campo base attacchiamo la parete. Il primo tiro tocca a me e lo supero concentrandomi parecchio ed andando lungo, non avendo le protezioni adatte. Poi Farina che dopo vari andi-rivieni e perplessità porta a termine il secondo tiro di roccia.
Da qui una serie di goulottes degne del Monte Bianco inframmezzate da semplici tiri di misto ci portano all’imbocco del pendio. Possiamo dire di essere fuori dalle difficoltà tecniche, ma non da quelle fisiche e psicologiche. Il pendio di 800 mt. di neve/ghiaccio a 75 gradi costanti non è assolutamente da prendere alla leggera. Decidiamo comunque di continuare in conserva corta per essere più veloci. La fatica è immane. Riesco a fare solo delle serie di 35/40 passi al massimo prima di piegarmi in due sulle picche ed iniziare a respirare come dopo una gara sui 400 mt. Avido di ossigeno come mai prima, come se non fosse presente, inspiro profondamente più volte e con grande fatica riporto la respirazione ai livelli normali, condizione necessaria per ripartire.
Ci diamo spesso il cambio e Farina vuole uscire in giornata, è convinto! Lo dissuado più volte: “Guarda che siamo cotti… Ci facciamo male!”
Fortunatamente dopo un po’ mi da’ retta ed afferma con il minimo del fiato possibile: “Appena puoi, bivacco!”
Sono davanti. Non è facile trovare un posto da bivacco su di un pendio costante di neve. Finché, una manna dal cielo, scorgo una lieve conca in prossimità di un piccolo seracco sommerso dalla neve. Farina guarda l’altimetro, siamo a 6200 mt, non esita, anche se la cima è a 200 mt, prende la pala ed inizia a scavare letteralmente sotto il tetto di ghiaccio. Il buco che riusciamo a creare è largo a mala pena e profondo non abbastanza. Infatti siamo costretti a “riposare” come delle sardine con i piedi a sbalzo sul pendio. Senza dubbio il bivacco più scomodo e lungo di sempre!
L’indomani mattina, siamo due ghiaccioli, aspettiamo il sole e con fare senile, ci prepariamo, beviamo dell’acqua calda e ripartiamo.
Raggiungiamo la cresta sommitale e ci “ribaltiamo fuori” un po’ come dopo l’integrale di Peuterey ci si “ribalta” in cima al Monte Bianco di Courmayeur. Il suolo è piatto. Riguardiamo il pendio, senza pronunciare parola, incrociamo gli sguardi, ci stringiamo la mano. Anche stavolta è andata…
Alle 10 del mattino siamo in cima.
I 6460 mt. dell’Illimani ci permettono di dominare tutto l’altopiano boliviano. Ci sentiamo bene, continuiamo a sorridere, ma non sappiamo ancora bene il perché. Sappiamo solo che questo è uno di quei momenti della vita in cui all’improvviso il tempo viene fecondato da un po’ di eternità.
La via sarà battezzata all’unisono: “Directa Italiana” in onore di un popolo e di un paese che ancora tutti guardano con meraviglia e stupore.
Scendiamo dalla via normale e dopo una breve tappa al nido de Los Condores per un mate de coca, preparatoci dal super contento Felix, arriviamo al campo base.
Un alpeggio di lama con torrentelli che scorrono quieti tra l’erba. Una specie di paradiso bucolico. Il posto perfetto dove addormentarsi accarezzati dalla brezza colma del profumo della flora d’alta montagna.