“Inside” di Ivan Iarrobino, viaggio onirico tra soffice neve e folate di vento
L’album “Inside”, delicato e sognante, di Ivan Iarrobino – giovane compositore e pianista italiano – è un viaggio sensoriale dentro – proprio “dentro” come da titolo – la sfera emozionale di un giovane musicista sospeso tra sogni e rabbia e appeso al suo solitario pianoforte.
Sin dalle prime note della prima traccia, Around sky, si avverte quello scorrere del tempo difficile da cogliere, sempre uguale sempre diverso; il brano segue un fluido morbido come se tutto fosse nuovamente sospeso tra indifferenza e gioia nella ricerca del nuovo. E’ un viaggio alpino tra il calpestio di soffice neve e le rasoiate a folate di un vento che non dà tregua; un giro, appunto, attorno a un cielo mutevole.
Behind Keith apre con tutta l’inquietudine di un mattino grigio nell’animo, di una tempesta in alta quota che toglie ogni possibilità di visuale e l’autore, poi, sembra voglia indicare, piano piano, la via d’uscita da tale grigiore con note via via sempre più calde e vive… nel finale passaggi epici ed emozionanti.
Bell’s end è subito un colpo al cuore, una danza nel calmo vento dell’amore, così bella così dolce che insegna anche al compositore il facile terreno da battere per seguire quella flebile traccia che conduce al sorriso. Europa Latina è una “ballata rock” al piano, ascoltarla immobili è impossibile, sale un fremito desideroso di movimento.
Piano ed archi, Heart Angel fa da colonna sonora al godere di attimi intimisti su di una vetta a mirarne il panorama tutt’intorno. E’ quel soffio di vento, o forse no, a farti avvertire che un brivido si sta impossessando del tuo corpo; sono gli archi, sono le dita che sfiorando il piano sfiorano la tua pelle ed il cuore di un angelo inizia a battere all’impazzata.
Heaven summer è limpida come il cielo d’estate, è una delle tracce dove Iarrobino si fa accompagnare da passaggi strumentali ed il risultato è notevole perché va a toccare e a far vibrare le corde emozionali dell’ascoltatore in maniera non banale e ripetitiva ma con passaggi originali. E’ un album, Inside, che non va in crescendo, il compositore sin dal primo brano dà il segno inequivocabile del suo messaggio e Johnny rientra appieno in tale mission. Qui a parlare è solo il piano e sembra raccontar dapprima di un chiodo fisso che non ci abbandona ma che piano piano lascia spazio ad altri spazi fatti di favole e fate, altri spazi fatti di boschi e di gnomi.
Ninna nanna ti coccola in una sera d’inverno accanto al fuoco in un rifugio alpino e conduce il pensiero a ciò che di bello hai vissuto in quella giornata e ti addormenti al tepore del desiderio del domani. In Non lo so torna l’inquietudine del vuoto, del dirigere lo scorrere dello sciogliersi delle nevi ma tale ricerca sembra essere solo mentale perché la pace che infonde questo brano sembra condurci silenziosamente al cospetto della bellezza di un circo glaciale. Forse Solis, ma non c’è bisogno di giungere all’ultima traccia per comprenderlo, dà consapevolezza del genio di questo giovane compositore italiano – di cui sentiremo parlare – che pare seguire le orme dell’emotività del miglior Ludovico Einaudi e della sperimentazione del miglior Keith Jarreth. Ascoltata Solis… la si continua a canticchiare ed è certo che tale canticchiare ti accompagnerà per l’intera giornata…
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