Reinhold e Günther Messner sul Nanga Parbat
Il 27 giugno 1970 i due fratelli raggiunsero la vetta del Nanga Parbat. Poi la tragedia...
Partirono dall’ultimo campo sul versante Rupal per una salita veloce in vetta senza corde fisse. Nella discesa sul versante Diamir furono sorpresi da una valanga: Günther perse la vita e Reinhold fu per anni oggetto di accuse infamanti, accusato d’aver abbandonato il fratello prima della discesa…
Quel 27 giugno i fratelli Messner raggiunsero la vetta del Nanga Parbat. La gioia che il giorno seguente si tramutò in tragedia. Era il 1970. I due fratelli furono invitati a partecipare alla spedizione al Nanga Parbat diretta da Karl Maria Herrligkoffer. L’obiettivo era salire l’allora inviolato versante Rupal della montagna. Si trattava di una spedizione pesante, nel quale era previsto abbondante uso di corde fisse e ausili tecnologici, secondo lo stile dell’epoca.
Quel 27 giugno Messner si trovava col fratello e altri due alpinisti all’ultimo campo. Avendo ricevuto notizia che il tempo sarebbe peggiorato il giorno successivo, decise di partire da solo dal campo senza usare corde fisse, sperando così di raggiungere velocemente la vetta prima della fine del bel tempo. Gunther non ne volle sapere e seguì il fratello. I due raggiunsero la vetta nel tardo pomeriggio. Si trattava della terza salita di questa montagna.
Essendo ormai il tramonto però i due furono costretti ad un bivacco d’emergenza, e il giorno successivo, non essendo in grado di ridiscendere per la via di salita senza corde fisse, decisero di scendere per il versante Diamir.
La tragedia. Gunther morì durante la discesa travolto da una valanga, Reinhold, creduto morto, arrivò a valle sei giorni dopo. Riportò gravi congelamenti che gli preclusero per sempre le arrampicate estreme su roccia.
Reinhold Messner, che durante quell’episodio estremo perse sette dita dei piedi in seguito al congelamento, diventò per anni oggetto di polemiche infamanti, accusato di aver abbandonato Günther ben prima della discesa, sacrificandolo alla propria ambizione. Solo a distanza di 30 anni l’infondatezza delle critiche rivoltegli sarà dimostrata grazie al ritrovamento del corpo del fratello laddove Messner aveva sempre affermato fosse scomparso.
La conferma arriva anche dalle indagini genetiche condotte nel 2004, dall’anatomopatologo Eduard Egarter, sui resti umani ritrovati nel 2000 da Hanspeter Eisendle, ai piedi del versante occidentale del Nanga Parbat. Quel corpo è di sicuro di Günther Messner.
Resta il fatto che quella al Nanga Parbat nel ’70 fu una salita epica su una via lunga, faticosa, pericolosa. Epica come altre, quando si parla di Reinhold Messner. Basti ricordare quella nel ’78 sull’Everest senza ossigeno supplementare insieme all’austriaco Peter Habeler. Un’impresa che sino ad allora era reputata impossibile.
Ma ci vollero ben 34 anni per mettera la parola fine alla vicenda. Reinhold continuò il suo progetto in Himalaya. E alla fine lo portò a termine, divenendo il Re degli Ottomila. Nel suo cuore, di sicuro, nulla fu come prima. La morte del fratello fu una vicenda triste, e oltre al dolore Reinhold dovette, ingiustamente, difendersi da accuse infamanti che lo fotografavano come uomo spietato che preferì la sua ambizione, il salire in vetta, alla vita del fratello… e pensare che il corpo di Gunther fu ritrovato per caso da Hanspeter Eisendle mentre cercava minerali da portare ai figli!!!
Nel 2010 è stato girato un film sulla tragedia, intitolato Nanga Parbat, diretto da Joseph Vilsmaier.