31 luglio 1954: il K2 è nostro
Alle ore 18 Compagnoni e Ladecelli giungono in vetta al K2, la seconda montagna della Terra. La spedizione fu organizzata da Cai, Consiglio nazionale delle Ricerche, Istituto Geografico militare e dallo Stato Italiano. Fu guidata da Ardito Desio. Ma subito scoppiò il caso-Bonatti che è durato per oltre 50 anni...
31 luglio 1954: il K2 è nostro. Gli italiani conquistano la seconda vetta della Terra. Conquista che, però, fu offuscata dal caso Bonatti.
La spedizione al K2 fu patrocinata dal Club Alpino Italiano, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall’Istituto Geografico Militare e dallo Stato italiano, e guidata da Ardito Desio.
La via seguita fu lo Sperone Abruzzi e i due alpinisti che raggiunsero la vetta furono Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, con il supporto dell’intero gruppo. Un contributo fondamentale fu fornito da Walter Bonatti e Amir Mahdi che, con un’impresa senza precedenti e affrontando il rischio della morte in un forzato bivacco notturno a oltre 8100 metri, trasportarono a Compagnoni e a Lacedelli le bombole d’ossigeno rivelatesi poi essenziali al compimento della missione. E quanto si è scritto su questa vicenda, dando alla fine a Bonatti ciò che gli spettava.
La spedizione del 1954 al K2 era costituita, oltre ad un gran numero di portatori di bassa quota utilizzati per portare il materiale della spedizione dall’ultimo scalo aereo al campo base, da 30 componenti:
13 alpinisti italiani
- Erich Abram: nonostante non fosse molto noto al grande pubblico, presentava un ampio curriculum di salite di sesto grado nelle Dolomiti.
- Ugo Angelino: di professione rappresentante di commercio, aveva svolto la maggior parte della sua attività alpinistica nelle Alpi Occidentali.
- Walter Bonatti: con i suoi 24 anni (compiuti il 22 giugno durante la spedizione) era il più giovane della spedizione. Nonostante questo era già considerato tra i più forti alpinisti del mondo grazie alle sue realizzazioni tra cui la parete est del Grand Capucin.
- Achille Compagnoni (giunto in vetta il 31 luglio): guida alpina e maestro di sci, con attività alpinistica soprattutto sul Monte Rosa e sul Cervino.
- Mario Fantin (fotografo e cineoperatore): nonostante non presentasse un curriculum alpinistico sullo stesso livello dei suoi compagni, era conosciuto per le sue riprese fotografiche e cinematografiche in ambito alpinistico.
- Cirillo Floreanini: aveva compiuto notevoli imprese alpinistiche nelle Alpi Giulie. Di professione faceva il disegnatore.
- Pino Gallotti: in quanto ingegnere, fu designato come responsabile del materiale tecnico della spedizione, fra cui le bombole d’ossigeno. Alpinisticamente aveva una notevole esperienza nelle Alpi Occidentali e in particolare sul Monte Bianco.
- Lino Lacedelli (giunto in vetta il 31 luglio): guida alpina e maestro di sci, facente parte del gruppo degli Scoiattoli di Cortina, aveva compiuto diverse salite estreme in Dolomiti ma aveva esperienza anche nelle Alpi Occidentali.
- Guido Pagani (medico della spedizione): in quanto medico e alpinista di discreto livello fu selezionato quale medico della spedizione.
- Mario Puchoz (deceduto per edema polmonare nelle prime fasi della spedizione): guida alpina, svolgeva la maggior parte della sua attività sul Monte Bianco.
- Ubaldo Rey: guida alpina e gestore di un rifugio alpino, con notevole esperienza sul Monte Bianco e nelle Alpi Occidentali in genere.
- Gino Soldà: il più anziano del gruppo (47 anni) con notevole esperienza nel sesto grado sulle Dolomiti.
- Sergio Viotto: guida alpina e falegname, aveva salito tutte le “grandi classiche” del Monte Bianco.
- 10 alpinisti hunza, indicati ufficialmente come “portatori d’alta quota”. Fra questi Amir Mahdi raggiunse 8100 metri (nei pressi dell’ultimo campo), e Isakhan raggiunse i 7300 metri del campo VII
- 5 ricercatori
Ardito Desio: capo spedizione e geologo.
Paolo Graziosi: paleontologo, docente presso l’Università degli Studi di Trieste.
Antonio Marussi: geofisico, direttore dell’Istituto di Geofisica dell’Università degli Studi di Trieste.
Bruno Zanettin: petrografo, docente dell’Istituto di Geologia presso l’Università degli Studi di Padova.
Francesco Lombardi: geodeta e topografo dell’Istituto Geografico Militare. - 2 membri pakistani
Ata Ullah: osservatore del governo pakistano.
Badshajan: aiuto topografo.
Furono inoltre assunti moltissimi portatori Balti per il trasporto del materiale lungo il ghiacciaio del Baltoro fino al campo base, sul ghiacciaio Godwin-Austen.
L’esclusione di Cassin
Dal team fu inspiegabilmente escluso Riccardo Cassin, che l’anno precedente aveva condotto con Desio la ricognizione sul posto, il quale fu lasciato a casa in seguito al risultato di discussi esami medici. Secondo un’opinione diffusa, il professor Desio temeva che la forte personalità ed il carisma del Cassin potessero mettere in discussione la sua leadership, adombrandone il merito in caso di riuscita dell’impresa.
La Via per la vetta
Gli italiani scelsero lo Sperone Abruzzi, scoperto nel 1909 dalla spedizione di Luigi Amedeo di Savoia duca degli Abruzzi.
Furono posti i seguenti campi:
- 4970 m: campo base
- 5580 m: campo I
- 6095 m: campo II
- 6378 m: campo III
- 6560 m: campo IV
- 6678 m: campo V
- 6970 m: campo VI
- 7345 m: campo VII
- 7627 m: campo VIII
- 8050 m (8060 m sulle carte IGM): campo IX (la quota non è però corretta in quanto in effetti il campo venne posto forse a 8150 m ~ 8160 m, a quota di poco superiore al bivacco Bonatti-Mahdi).
7990 m: bivacco Bonatti-Mahdi (la quota non è però corretta in quanto il bivacco, piuttosto, è da situarsi a poco più di 8100 m).
La spedizione
La complessità dei problemi e la gravità dei rischi da affrontare, la responsabilità di un’impresa caricata in Italia di molti significati extra-alpinistici e nazionalistici, indussero Ardito Desio a impostare la spedizione con pugno di ferro e disciplina militare, così come Karl Maria Herrligkoffer aveva fatto l’anno prima con la spedizione al Nanga Parbat. Ma come allora, anche qui questo comportamento fu, in seguito, all’origine di molte critiche e polemiche.
Ardito Desio, per quanto fosse capo della spedizione, non salì mai oltre la quota del campo base (4970 m) e demandò a Compagnoni il comando della spedizione in quota, limitandosi a emettere dal campo base quattordici ordini di servizio dattiloscritti, che venivano poi fatti recapitare, anche con notevole ritardo, ai campi più alti. Il modo autoritario con cui coordinò l’andamento della missione gli guadagnò l’appellativo ironico di “ducetto”.
Le operazioni cominciano tra la fine di maggio e gli inizi di giugno. Si allestiscono i primi campi. Il 21 giugno Mario Puchoz muore al campo II, di polmonite fulminante, secondo la versione ufficiale dell’epoca, ma in realtà di edema polmonare, e viene seppellito nei pressi del campo base, in corrispondenza del memorial Gilkey.
Viene predisposta una serie di corde fisse per consentire agli alpinisti di muoversi agevolmente tra il campo base e i campi avanzati al fine di acclimatarsi all’alta quota e trasportare in alto il materiale destinato alla salita in vetta. Viene costruita una piccola teleferica manuale nella parte più bassa del percorso.
Il 18 luglio le due cordate composte da Bonatti-Lacedelli e Compagnoni-Rey finiscono di predisporre i circa 700 metri di corde fisse sulla cosiddetta Piramide Nera, la difficile zona rocciosa poco sotto i 7000 metri che contiene il famoso Camino Bill. Gli alpinisti, aiutati dai portatori hunza, si alternano nel trasporto di viveri ed altri rifornimenti ai campi avanzati.
Il 25 luglio viene raggiunta la quota di 7345 m e allestito il campo VII nel luogo dove si era trovato il campo VIII della spedizione americana del 1953. Seguono 2 giorni di maltempo.
28 luglio. Abram, Compagnoni, Gallotti, Lacedelli e Rey partono dal campo VII per andare a montare il campo VIII a 7750 m. Bonatti, indebolitosi negli ultimi due giorni per problemi di digestione, resta al campo VII. Rey (inizialmente designato per raggiungere la vetta insieme a Compagnoni), dopo una mezzora e 50 m di dislivello, colto da malore, è costretto ad abbandonare il suo carico e a rientrare al campo VII. Gli altri 4 montano il campo VIII più in basso del previsto, a una quota di 7627 m, al riparo di un muro di ghiaccio. Compagnoni e Lacedelli vengono designati per raggiungere la vetta, e passano la notte del 28 luglio al campo VIII, gli altri (Abram e Gallotti) riscendono al campo VII. Gallotti, durante la discesa, scivola sul ghiaccio per 50 ~ 70 m, non riesce a piantare la piccozza ma fortunatamente si gira e riesce a fermarsi piantando un rampone.
29 luglio. Compagnoni e Lacedelli partono dal campo VIII per montare il campo IX alla quota prevista di 8100 m, ma riescono soltanto a salire lungo il muro di ghiaccio per un centinaio di metri e sono costretti ad abbandonare il loro carico e a rientrare distrutti al campo VIII. Abram e Gallotti, ancora un po’ stanchi, insieme a Rey e Bonatti, con quest’ultimo che si è invece ben ristabilito, partono dal campo VII verso il campo VIII, per trasportare materiale tra cui 2 bastini con bombole di ossigeno. Ma dopo poco Abram e Rey, sfiniti, abbandonano il loro carico e ridiscendono. Abram cercherà di riprendersi al campo VII, Rey sarà costretto dal mal di montagna a fare ritorno al campo base. Restano sul posto i due bastini con le bombole d’ossigeno mentre Bonatti e Gallotti continuano a portare viveri e altro materiale indispensabile al campo VIII che raggiungono nel pomeriggio per piantarvi una nuova tenda.
La sera al campo VIII viene deciso che Compagnoni e Lacedelli partiranno il giorno successivo con il materiale per allestire il campo IX, piazzandolo però più in basso di quanto previsto, di modo da consentire a Bonatti e Gallotti di scendere a recuperare le bombole d’ossigeno, fondamentali per la salita e rimaste nei pressi del campo VII, e di portarle poi al campo IX. Si decide quindi di installare il campo IX a 7900 m. I quattro passano la notte al campo VIII.
30 luglio. Compagnoni e Lacedelli partono per installare il campo IX alla quota di circa 7900 m concordata la sera prima. Bonatti e Gallotti invece scendono fino a 7400 m per recuperare i due bastini con le bombole di ossigeno, abbandonativi il giorno prima. Sono raggiunti nel frattempo, dal campo VII, da Abram e dagli hunza Mahdi e Isakhan. Bonatti e Mahdi, i più in forma, si caricano sulle spalle le bombole mentre gli altri prendono i viveri e tutti e quattro salgono fino al campo VIII, dove Gallotti e Isakhan si fermano. Alle 15.30, dopo un riposo di 1 ora e mezza, Bonatti, Abram e Mahdi partono verso il campo IX, alternandosi nel trasporto delle bombole. I tre alpinisti superano il muro di ghiaccio e raggiungono il plateau sovrastante circa un’ora dopo, ma non trovano il campo nel punto concordato. Riescono a comunicare a voce con Compagnoni e Lacedelli, gridando per farsi dare indicazioni. Compagnoni e Lacedelli rispondono di seguire le tracce. Verso le 17.30-18 ci sono altri scambi di voci tra i due gruppi. Abram, sfinito, è costretto a riscendere. In seguito gli alpinisti non riusciranno a comunicare per diverse ore.
Bonatti e Mahdi continuano quindi a salire verso il campo IX. Ma, essendo questo più in alto di quanto concordato, non riescono a raggiungerlo prima del sopraggiungere dell’oscurità. Quando arriva il buio i due si trovano a circa 8100 m su un ripido pendio ghiacciato sotto una fascia rocciosa (in seguito nota come “il collo di bottiglia”) e non sono in grado né di scendere né di salire senza luce. Chiamando a gran voce riescono finalmente a farsi udire da Lacedelli. Individuano la luce della torcia del campo in diagonale alla loro sinistra, oltre un pericoloso canale, impossibile da attraversare al buio. Lacedelli dice loro di lasciare le bombole e scendere, Bonatti risponde che potrebbe riscendere ma che Mahdi non è in grado. Vi è tuttavia un difetto nella comunicazione e Lacedelli si convince che i due stiano riscendendo, e rientra quindi nella sua tenda non sentendo più i loro richiami. Bonatti e Mahdi passano quindi la notte tra il 30 e il 31 luglio all’aperto, su di uno scalino di sessanta centimetri scavato nella neve con le piccozze, affrontando un bivacco notturno senza tenda e senza sacchi a pelo nella zona della morte, aggravato da una bufera scatenatasi nella notte. Mahdi è in stato confusionale e Bonatti deve trattenerlo più volte per evitare che cada nel canalone.
31 luglio. Alle primissime luci (4.30 circa) Mahdi, che ha riportato gravi congelamenti a mani e piedi ed è ancora in stato confusionale, comincia a scendere, ignorando Bonatti che invece consiglia di aspettare il sorgere del sole, arrivando al campo verso le 5.30. Verso le sei anche Bonatti inizia a scendere, e giunge al campo VIII intorno alle 7.30. Compagnoni e Lacedelli partono dal campo IX verso le 6.30 e raggiungono il bivacco di Bonatti-Mahdi per recuperare le bombole di ossigeno lasciatevi dagli stessi Bonatti e Mahdi. Tra le 8.00 e le 8.30 iniziano quindi l’ascensione alla vetta facendo uso di ossigeno per tutta la salita.
Alle ore 18 del 31 luglio 1954, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli raggiungono la vetta a 8611 m. L’Hunza Isakhan e gli altri alpinisti rimasti al campo VIII a 7627 m (Bonatti, Gallotti, Abram e Mahdi) li vedono raggiungere la vetta. Sulla vetta piantano una piccozza con le bandiere italiana e pakistana, e si tolgono i guanti per scattarsi vicendevolmente alcune foto. Per questo Compagnoni riporterà gravi congelamenti a due dita che dovranno in seguito essere amputate e lo stesso successe a Lacedelli ad un pollice. Dopo qualche tempo, cominciano la discesa. Raggiungono il campo VIII verso le 23 e festeggiano con i loro compagni.
La notizia giunse in Italia a mezzogiorno del 3 agosto e fu accolta con grande entusiasmo e come simbolo della rinascita del Paese nel dopoguerra: da quel momento il K2 divenne per tutti la montagna degli italiani.
Ma sul K2, come ben noto, scoppia un bel caso, trascinatosi per anni. La polemica si concentra in particolare su alcune importanti discrepanze esistenti tra la relazione ufficiale redatta da Ardito Desio e la versione dei fatti raccontata da Walter Bonatti nella sua autobiografia. Vi furono relazioni ufficiali del Cai, un film sulla spedizione con tanto di revisione chiesta da Bonatti. Anche in Pakistan montò una polemica , con una campagna di protesta della stampa contro il trattamento che era stato riservato all’hunza Mahdi, che riportò gravi amputazioni. Nel ’61 Bonatti scrive un’autobiografia (Le mie montagne) dove racconta, in un capitolo, la sua versione dei fatti. Poi nel 1964 un articolo di Nino Giglio sulla Nuova Gazzetta del Popolo accusa Bonatti: Bonatti fece causa per diffamazione contro il giornalista. Bonatti vinse il processo e donò l’indennizzo a un’associazione caritatevole. Nino Giglio dovette pubblicare un articolo di smentita.
In seguito Bonatti sentì la necessità di raccontare la propria versione dei fatti al pubblico, al quale era stata raccontata solo la versione ufficiale. Pubblicò così nel 1985 un libro-dossier intitolato Processo al K2 seguito da K2 – Storia di un caso (1998) e K2 – La verità. Poi vi fu il contributo (neutrale) di Robert Marchall, un australiano che pubblica alcune foto in vetta di Compagnoni e Lacedelli, dalle quale, diceva Marchall, di intuiva che i due avevano usato l’ossigeno sino in vetta.
La storia continua negli anni. Si giunge così al 2004 con la revisione finale del Cai. In previsione del cinquantesimo anniversario della spedizione un gruppo di giornalisti e di alpinisti lanciò al CAI un appello affinché si raggiungesse un definitivo chiarimento su tutti i punti rimasti in sospeso. Il CAI rispose incaricando una commissione formata da “tre saggi” di condurre un’analisi storica e storiografica dei fatti in questione.
I tre saggi vengono scelti su indicazione del vicepresidente generale Annibale Salsa e sono:
- Fosco Maraini: alpinista, scrittore, etnologo e orientalista, con esperienza in spedizioni himalayane.
- Alberto Monticone: storico, docente presso la LUMSA e politico.
- Luigi Zanzi: storico, docente presso l’università di Pavia ed esperto di storia e cultura montana.
I tre condussero uno studio sui documenti esistenti, non ritenendo necessaria una nuova indagine storiografica con nuovi interrogatori dei testimoni. Ne risultò una relazione consegnata il 30 aprile 2004 e pubblicata con conferenza stampa il 3 maggio successivo e successivamente pubblicizzata sulla stampa sociale del CAI. Nel 2007 la relazione dei tre saggi fu inclusa nel libro K2 – Una storia finita.
La relazione dei tre saggi, pur affermando che il CAI avesse già sufficientemente accertato la verità con la presa di posizione del 1994, andava ad integrare e dove necessario rettificare la relazione ufficiale scritta da Desio nel 1954, la quale comunque non veniva modificata. Bonatti non fu completamente soddisfatto dalle risultanze dei tre saggi.
Lo storico della montagna Roberto Mantovani scrisse, poi, un nuovo resoconto della spedizione del 1954 basandosi sulla relazione dei tre saggi. Il resoconto fu anch’esso incluso nel libro K2 – Una storia finita. Dopo il CAI, anche la Società Geografica Italiana accettò la versione di Bonatti.