In Movimento (Il Manifesto), 3° numero alla libertà
Da giovedì 5 maggio il 3° n. dell’inserto de Il Manifesto (al costo di 1 euro) dedicato alla libertà in tutte le sue forme
“Libertà è passione. Superare i propri limiti. O scegliere di incontrarli. Libertà è rispetto. Di se stessi e del mondo che ci circonda. Libertà è rischio. E piacere insieme. Libertà è sfidare le abitudini. E romperle se necessario. Libertà è creazione. E meditazione. Questo numero di in movimento è per tutti coloro che cercano la felicità lungo una via, un masso, una parete, una montagna. E la trovano. Qualunque cosa sia la libertà, vale la pena lottare per cercarla”.
Libertà è passione.
Superare i propri limiti. O scegliere di incontrarli.
Libertà è rispetto. Di se stessi e del mondo che ci circonda.
Libertà è rischio. E piacere insieme.
Libertà è sfidare le abitudini. E romperle se necessario.
Libertà è creazione. E meditazione.
Questo numero di in movimento è per tutti coloro che cercano la felicità lungo una via, un masso, una parete, una montagna. E la trovano.
Qualunque cosa sia la libertà, vale la pena lottare per cercarla.
Sarà in edicola dal 5 maggio e per tutto il mese il terzo numero del manifesto in movimento, l’inserto speciale dedicato alla montagna e alle storie e ai personaggi che la rendono grande.
Questo numero (al costo di 1 euro) è dedicato alla libertà in tutte le sue forme. Con un dossier sui “nuovi mattini” ieri e oggi.
Articoli di Enrico Camanni, Popi Miotti, Andrea Gobetti, Alessandro Gogna, Eva Grisoni, Gianni Battimelli, Vinicio Stefanello, Simone Bobbio, Linda Cottino, Fabrizio Goria, Emanuele Confortin, Claudio Vercelli, Elisabetta Galli, Giorgio Mallucci, Peter Freeman e Andrea Colombo
Interviste a François Guillot, Steve House, Catherine Destivelle
Anche questo numero del supplemento è stato realizzato da Matteo Bartoccied Eleonora Martini con la cura grafica di Alessandra Barletta e la consulenza editoriale di Francesca Colesanti e Umberto Isman.
Il manifesto in movimento sarà distribuito a tutti i partecipanti al Melloblocco 2016.
Anticipiamo l’apertura del numero scritta da Enrico Camanni.
La rivoluzione degli anni ’70 affascina ancora oggi, perché anche scalare è una forma di erotismo
Ho scritto tanti libri sull’alpinismo, ho percorso molti periodi storici, ma i lettori continuano a chiedermi dei Nuovi Mattini. Gente di tutte le età, dai venti ai settant’anni. Mi ha chiamato anche un professore della Bocconi: diceva che i giovani degli anni Settanta avevano saputo affrontare con sorprendente lucidità la crisi della scalata, e che poteva essere d’esempio per la crisi del nostro sistema economico.
Io credo che i ragazzi di allora non avessero in mente niente del genere. Erano solo incazzati con un modo vecchio e un po’ fascista di fare montagna, metà caserma e metà sacrestia. Non ne potevano più di croci di vetta, morti sacrificali, passioni eroiche nel nome dell’alpinismo. Volevano divertirsi e fare l’amore come tutti, e anche scalare pareti è una forma di erotismo.
Basta non violentare la roccia ma amarla.
Nel 1961, alla Scuola di alpinismo Gervasutti di Torino, l’accademico Pino Dionisi diceva: «Non è necessario rammentare che la disciplina ha un’importanza di prim’ordine. Nella scuola che dirigo da molti anni è obbligo all’Istruttore dare del Lei all’allievo, così come, naturalmente, l’allievo deve fare rivolgendosi all’Istruttore».
Era inevitabile che tanto obbedire portasse alla ribellione. Tra Torino e la Valle dell’Orco, Milano e la Val di Mello, Trieste e la Val Rosandra, Reggio Emilia e la Pietra di Bismantova, nasce un movimento di rivolta che preferisce le montagne alle piazze e in montagna fa una strana rivoluzione. Gli esponenti del rinnovamento alpinistico sono ispirati dal torinese Gian Piero Motti, ottimo scalatore e libero trasgressore. Uno che pensa, elabora e scrive.
I giovani contestatori rifiutano i vecchi pantaloni alla zuava e gli abiti grigi della festa, mettendoci vestiti colorati, orari rilassati, allegri bivacchi, iniziazioni dai nomi musicali: Itaca nel sole, Luna nascente, Il cammino dei Comanches, la via della Rivoluzione.
Ispirati dal mito dell’arrampicata californiana anche se non hanno mai attraversato l’oceano, lavorando di fantasia trovano splendide pareti a pochi minuti dalla civiltà e su quelle rocce immaginano di essere in Yosemite Valley, sulle Dolomiti o in Paradiso, comunque lontano dagli obblighi e dai tabù. Lontani, appassionati e liberi.
«Arriverai alla terza età e poi alla vecchiaia senza aver goduto ciò che avevi diritto di godere, e così capirai di aver servito il mondo contro cui con zelo portasti avanti la lotta». Pier Paolo Pasolini
Per capire le esperienze di noi ragazzi di allora esistono due parole chiave: piacere e libertà. Il problema è che erano e sono difficilmente conciliabili, perché la libertà è cosa faticosa e fragile, mentre il piacere aspira alla solidità e alla durata.
Il vero piacere lo hanno goduto non gli apripista di quegli anni là ma gli arrampicatori sportivi dagli Ottanta in avanti, che sono un po’ figli del Sessantotto alpinistico e un po’ traditori di quello spirito anticonformista e ribelle.
Perché, come scriveva Pasolini, «arriverai alla terza età e poi alla vecchiaia senza aver goduto ciò che avevi diritto di godere, e così capirai di aver servito il mondo contro cui con zelo portasti avanti la lotta».
Alla fine il Nuovo Mattino è morto non perché gli alpinisti siano tornati a indossare i pantaloni alla zuava ma, al contrario, perché le scarpette da scalata, le braghe di tela, la polvere bianca e le fasce nei capelli – vecchi segnali di guerra – hanno sorriso al mercato dello sport e il mercato ha ricambiato il sorriso.
Negli anni Ottanta la passione per la roccia è rinata in panni atletici e collettivi, beneficiando del cammino liberatorio del decennio precedente: si è buttata la dimensione simbolica e si è conservata la parte utile, esportabile e riproducibile.
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