Si rinnova la tradizione della transumanza tra Puglia e Molise
Circa 180 km sui tratturi, 300 mucche dal Tavoliere delle Puglie ai monti del Matese con mandriani e tanta gente a fare da cornice. Partita mercoledì 23 maggio da San Marco in Lamis (Foggia) la Transumanza, antica tradizione tenuta in vita dalla famiglia molisana Colantuono e negli ultimi anni da Carmelina, oggi simbolo e custode di questa nobile memoria. Si concluderà domani con l’arrivo agli oltre 800 metri di quota di Acquevive di Frosolone (Isernia). La transumanza è il rito agropastorale che identifica la civiltà contadina del Sud Italia, ma anche di tanti altri popoli in Europa e non solo.
Sostiene il progetto di famiglia l’agenzia di sviluppo regionale Moligal diretta da Nicola Di Niro. Carmelina Colantuono e Di Niro sono anche i pionieri del progetto che, forte del partenariato internazionale, è giunto a Parigi dove un mese e mezzo fa è stata formalizzata la candidatura al patrimonio Unesco.
LEGGI QUI
Il 27 marzo è partito l’iter per la valutazione sulla proposta del ministero delle Politiche Agricole. Prima ancora era partito dal Molise, al quale si sono unite Austria e Grecia.
Un happening che, come ogni anno, si svolge a fine maggio, e coincide con la luna crescente, perché un tempo si viaggiava soprattutto di notte, con la mandria saldamente ancorata ai tratturi di riferimento. Sei mesi di pascolo in piena libertà, a San Marco in Lamis, dove il Gargano incrocia il lato superiore del Tavoliere delle Puglie, intervallati da mungiture e notti miti. Ai primi caldi la mandria deve spostarsi, non solo per il clima che comincia a essere troppo caldo, ma anche per trovare il foraggio migliore possibile: l’erba fresca di primavera che, con un procedimento tutto naturale, porterà alla lavorazione del pregiato caciocavallo podolico e della manteca, punti d’eccellenza della produzione casearia dei Colantuono che avviene come una volta, a mano, con la tipica ‘secchia di legno’ e la ‘m’natora’ (bastone di legno con cui viene stesa la pasta di formaggio). L’unica differenza è la salatura che, nella concezione moderna, dal ‘casaro’ dura più o meno un giorno. Oggi la richiesta è per un prodotto meno salato e grasso, e più gustoso, quindi le forme restano in salamoia meno tempo.
fonte: ansa