Molinu (Cnsas): Droni? Fermento e grandi aspettative in Italia
La scorsa settimana abbiamo parlato di una incredibile operazione di salvataggio sul Broad Peak. Quella dell’alpinista Rick Allen. Ormai dato per spacciato, disperso da 36 ore. Un soccorso che apre a nuovi sbocchi in montagna. Il polacco Bartek Bargel era da quelle parti, ha un drone per riprese video e foto (ha ripreso poi la storica prima discesa in sci del K2 del fratello Andrzej). Riesce a farlo volare sino a 8400 metri. Parte subito l’operazione di soccorso da campo 3. Viene trovato e portato al campo base. Con qualche contusione e congelamento. Ma sta bene. È vivo! Il drone accompagna i soccorritori, volando sulle loro teste, sino al luogo dove si trova l’alpinista britannico…
Bene, abbiamo chiesto al Soccorso Alpino e Speleologico (Cnsas) la situazione circa l’utilizzo di tale tecnologia in territorio italiano.
Ecco quanto ci ha detto il vicepresidente nazionale e Coordinatore della Centrale Operativa GeoResQ del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico Alessandro Molinu:
Stiamo continuando a lavorare su questo fronte, appena venerdì scorso una nostra squadra di piloti del Servizio Regionale Sardegna ha lavorato a Serle (Brescia) per la ricerca della piccola Lushra.
In Valle d’Aosta sono stati impiegati con successo per ispezionare delle Forre e per supportare le squadre di soccorso, questi nuovi strumenti si stanno inserendo sempre più nell’operatività reale e su più fronti, stiamo utilizzando queste tecnologie nelle operazioni di ricerca in alta montagna, in forra e sugli ambienti invernali.
Oltre che in ricerca stiamo utilizzando i droni per il rilievo di immagini georeferenziate aggiornate da utilizzare sulla cartografia digitale e 3D.
Alcuni dei nostri servizi regionali sono già riconosciuti come operatori aerei da ENAC, ed il numero di piloti sta progressivamente aumentando.
Come già fate voi anche a me piace usare il termine “buon uso della tecnologia”, rimarcando sempre che si tratta di ausili e non di sostituti dell’operato umano. In alcuni contesti possono fare la differenza ma sempre se affiancati dalle squadre di soccorso.
Sul Broad Peak, il contesto è stato sicuramente unico, delicato per l’impossibilità delle squadre di muoversi a piacimento a quelle quote, ma l’assenza di vegetazione, il bianco della neve e del ghiaccio, una precisa idea di dove poteva essere la persona, hanno consentito al drone di esprimere il suo potenziale al max nelle operazioni di ricerca.
Ci tengo a precisare che non è una mera questione di tecnologia, il risultato dipende in gran parte da come si affinano le tecniche di utilizzo, sono strumenti nuovi, con un grande potenziale ancora tutto da sviluppare.
Attualmente si lavora con prodotti reperibili sul mercato, ma continuiamo ad esplorare il settore anche con progetti innovativi di sviluppo.
Il progetto SHERPA si è concluso, quanto fatto prosegue nel nuovo progetto Air Borne che prevede l’industrializzazione del prototipo e l’applicazione di apparecchi per la ricerca in Valanga ARTVA e RECCO oltre che di termocamere.
Con l’Università di Firenze ed il Dipartimento di Protezione contiamo di avviare un progetto che consentirà di perfezionare dei prototipi di drone già sviluppati dalla stessa Università di Firenze.
È un settore operativo in grande fermento sul quale abbiamo grandi aspettative.
Nei giorni scorsi Mount Live ha pubblicato un editoriale del Direttore sui fatti del Broad Peak e sul futuro dei droni in montagna: