Cristiano Iurisci: Nardi non ha mai pensato al Mummery come una roulette russa
Chi ha scalato con Daniele Nardi sapeva la sua scrupolosità: "Non era una missione suicida, altrimenti sarebbe morto al primo tentativo"
Daniele Nardi si divertiva sull’Appennino, il Semprevisa, i Lepini, la Majella, il Gran Sasso. Lì si allenava per le sue spedizioni. Da lì sino alle Alpi, all’Aconcagua, alle vette Himalayane. Nardi, classe 1976, ha scalato, tra l’altro, 5 Ottomila.
Gli Ottomila
Nel 2001 parte per il suo primo ottomila partecipando a una spedizione sul Gasherbrum II e, l’anno successivo, tenta la vetta del Cho Oyu, alla quale rinuncia vicino alla sommità per un principio di congelamento. Nel 2004 scala l’Everest. Nel 2005 raggiunge la cima middle dello Shisha Pangma (8.027 metri). Nel 2006 scala l’Aconcagua con un gruppo di alpinisti del Lazio. Nello stesso anno tenta la vetta del Makalu e scala il Nanga Parbat (8.125 metri), passando dal versante Diamir, e il Broad Peak (8.045 metri) in soli 30 giorni. Il 20 giugno del 2007 scala il K2 nella spedizione “K2 Freedom 2007”, seguita dalla Rai, che realizza un film documentario intitolato K2.
L’Ama Dablam e le altre
Nel 2009 tenta una via nuova sulla parete nord dell’Ama Dablam. La via di salita avrebbe permesso di raggiungere la vetta dello TsuRo Ri di 6.200 metri che poi avrebbe portato attraverso una cresta lunga e sottile alla vetta dell’Ama Dablam, cima di fronte all’Everest. La via resta incompleta a 200 metri dalla cresta. Con Lorenzo Angelozzi apre una nuova via intitolata Telegraph Road (come l’omonima canzone dei Dire Straits), di oltre 1.000 metri, sul Farol West (6.370 metri), in Pakistan. Con lo stesso Angelozzi, conquista una cima inviolata di 6.334 metri, chiamata proprio da Nardi “Peak of Freedom” o “Punta Margherita”.
Nel marzo 2010 Nardi, Giovanni Pagnoncelli e Ferdinando Rollando aprono una nuova via Direttissima (difficoltà complessiva TD+) sulla parete nordest dello Jägerhorn, nel massiccio del Monte Rosa.
Nel 2011 partecipa all’operazione “Share Everest”, progetto del Comitato Ev-K2-CNR con l’obiettivo di installare e ripristinare la stazione meteorologica più alta del mondo collegata al Laboratorio-Osservatorio Internazionale Piramide, sul colle sud dell’Everest, affinché potesse fornire dati per studiare i cambiamenti climatici alle alte quote. Partecipa alla spedizione con Daniele Bernasconi.
Sul Bhagirathi
Sempre nel 2011 tenta la salita al Bhagirathi III (6.457 m s.l.m.) nel Garhwal, Himalaya indiano, realizzata aprendo una nuova via tra il Bhagirathi III e il Bhagirathi IV. La nuova via aperta, nominata Il seme della follia… (fa l’albero della saggezza), è caratterizzata da 1.250 metri di sviluppo per 1.018 metri di dislivello su terreno di ghiaccio e misto con difficoltà proposte di WI5+, M6/7, A2/A3. La vetta non è raggiunta a causa dell’eccessiva neve sulla cresta finale. Impossibilitati a scendere dallo stesso versante i due si calarono dalla parte opposta.
Nardi e Delle Monache, per l’apertura di questa nuova via, dedicata a Walter Bonatti, vinceranno il premio Paolo Consiglio.
L’amore per il Nanga Parbat
Poi il Nanga Parbat, i vari tentativi con diverse squadre. Sino all’invernale 2018/2019 con Tom Ballard. Muoiono entrambi sullo Sperone Mummery. Lo Sperone che lo ammaliava, gli brillavano gli occhi quando ne parlava. Quello che in molti gli sconsigliavano. Il fantasma di Mummery lo aveva chiamato e lui ha tentato più volte, con Delle Monache, Revol, Txikon, in solitaria…
Sull’Appennino
Nel febbraio 2017 Nardi, insieme a Cristiano Iurisci e Luca Mussapi, apre una nuova via chiamata Gran Diedro (misto fino a M5+ e ghiaccio fino al grado 3) sulla parete nord-ovest della Cima delle Murelle, nel massiccio della Majella. Il mese successivo, lo stesso trio apre una nuova via sul Monte Camicia (2357 m s.l.m.) salendo dallo sperone Pisciarellone. Dopo essersi allenato sul Paretone Express al Gran Sasso d’Italia, Nardi parte a luglio per la spedizione “Trans Limes” sul Saltoro Kangri insieme a Marcello Sanguineti, Gianluca Cavalli, Michele Focchi e Tom Ballard, per tentare di aprire una via sulla parete orientale del Link Sar (7041 m s.l.m.). Nel Febbraio 2018 con Luca Gasparini e Luca Mussapi apre un’altra difficile via allo Scoglio della Sassetelli (Terminillo) gradata ED- M6+.
Vi riportiamo, di seguito, uno stralcio dell’intervista a Cristiano Iurisci dello scorso dicembre nella quale ci parlava di Nardi.
Quello che posso dire è che lui non ha mai pensato ad una missione omicida nel tentare di scalare lo Sperone Mummery, lo dico perché le poche volte che abbiamo dovuto fare scelte su se, come e quando scalare, queste erano sempre ben oculate e studiate sia dal punto di vista tecnico che sulla meteo come anche sulla pericolosità (scariche, neve, valanghe, ecc). Ogni scelta avveniva dopo ore di discussione sviscerando tutte le problematiche del caso.
È successo così ad esempio quando lo convinsi che poteva fare la 1^ solitaria invernale alle Murelle. Un’impresa da pochi conosciuta solo perché sfumata per un banale errore avvenuto dopo però aver superato il tratto chiave della via.
È successo durante la preparazione sulla via del Gran Diedro sempre alle Murelle: ci siamo sentiti al telefono più volte al giorno nei giorni immediatamente precedenti la salita per capire e comprendere quali e quanti fossero i pericoli ai quali andavamo incontro.
È successo così quando scalammo il bordo destro della grande parete N del Camicia per una nuova via, ed è successo così quando dovevamo trovare il giorno adatto a scalare il Paretone del Gran Sasso in invernale. Progetto rinviato per due anni, il terzo anno ero infortunato io, e l’ho convinto a tentare viste le mie considerazioni positive sulle condizioni, ma poi una volta arrivato alla base Daniele ha avuto paura e, nonostante le mie insistenze al telefono di aspettare che la notte avrebbe fatto gelare tutta la neve molle che aveva sotto i piedi, e di non rinunciare subito, Daniele ascolta il suo cuore e sente che il luogo non è sicuro e si ritira.
Con queste piccole esperienze non posso che pensare che ciò che è successo al Nanga non è suicidio conclamato, tantomeno una missione suicida. Se si riflette un attimo sul fatto che, se per ben 5 inverni di tentativi, dove Daniele ha effettuato almeno 25 bivacchi sullo Sperone, senza contare i giorni passati sullo Sperone a spostare, montare e smontare corde fisse e campi avanzati, Nardi sia sopravvissuto, possiamo ritenere che quel posto non sia così mortale come descritto. Non era una roulette russa essere lì, certo era pericoloso, come lo sono pericolose altre montagne, forse lo era di più, ma non era una roulette russa.
Se fosse stato così Nardi doveva morire giù durante il primo tentativo, o al secondo, se invece è accaduto solo al quinto, la prima cosa che mi viene in mente è che Nardi non era uno sprovveduto suicida. Lui aveva studiato bene tutto e aveva compreso tutti (o quasi) i pericoli di quel posto. Purtroppo qualcosa è andato storto, e dalle ricostruzioni pare non essere una valanga.
Di più non so, ma anche fosse stata una valanga, avere un incidente solo al quinto anno è la dimostrazione che non era una trappola quella via e che Nardi era ben preparato. Nardi purtroppo aveva quel sogno, che molti non comprendono (me compreso, e gliel’ho anche detto, ma a lui brillavano gli occhi alla sola parola Nanga Parbat) ma a volte l’alpinista entra in una fissazione senza che vi sia una ragione oggettiva e misurabile, un po’ come l’ha avuta il capitano Ackab per Moby Dick. E un po’ in fondo come me che l’ho avuta per le Murelle.
foto: cristiano iurisci