Paul Preuss e quel chiodo fisso dell’alpinismo libero
Fu in controtendenza con l'alpinismo dell'epoca, per non era ammesso l'uso di mezzi artificiali. Le 6 Regole di Preuss
Paul Preuss, l’alpinista libero. Austriaco, nato ad Altaussee il 19 agosto 1886 è morto precipitando dal Mandlkogel il 3 ottobre 1913.
Biografia
Da bambino, a causa di un virus polio-simile, Preuss è fragile e malaticcio, tanto che spesso è a letto o sulla sedia a rotelle. Crescendo guarisce e si fortifica con la pratica intensa dello sport. Diviene, infatti, un ottimo sciatore, alpinista e rocciatore e già all’età di 11 anni ha scalato circa 300 vette.
La polemica dei chiodi
Gli anni tra il 1907 e il 1913 sono pieni di successi alpinistici, e diviene uno dei migliori alpinisti dell’epoca. Inoltre, fa parlare molto di sé a causa delle sue teorie in controtendenza con lo spirito alpinistico del tempo. Sostiene infatti con i suoi contemporanei una vera e propria “polemica sui chiodi”, cioè sull’uso dei chiodi e dei mezzi artificiali durante le scalate.
Nei suoi pochi anni di vita scala centinaia di cime, apre nuove vie (quasi sempre da solo e senza assicurazione), si dedica allo scialpinismo con traversate di interi gruppi montuosi.
Muore sulla montagna di casa
Il 3 ottobre 1913 muore precipitando dallo spigolo nord del Mandlkogel, una montagna nella sua terra natale. Nessuno sa cosa sia successo esattamente perché, come tante altre volte, era solo e arrampicava slegato.
Filosofia dell’epoca
In quegli anni (inizio del XX secolo) le maggiori cime dei monti europei erano già state scalate (seguendo gli itinerari più facili, più logici) per cui l’alpinismo tendeva a innovarsi, a diventare più “sportivo”. Si cercava la difficoltà, la via più ripida e più elegante per raggiungere la cima. Non era più importante raggiungere la vetta ma diveniva importante anche come veniva raggiunta.
Con qualsiasi mezzo
Per far fronte alle difficoltà crescenti in arrampicata (che si aggiravano già attorno al V, V grado superiore) si faceva ricorso a qualsiasi mezzo: piramidi umane, chiodi, staffe e fittoni.
In questo contesto si leva la voce di Preuss che teorizza il rispetto per la montagna e un approccio più psicologico e tecnico alla scalata. Per lui non è ammesso il ricorso a mezzi artificiali: i chiodi non devono servire, e anche la corda deve essere usata con parsimonia.
Per Preuss calarsi in doppia è ricorrere a un mezzo artificiale, rappresenta un artificio con cui l’uomo cerca di “imbrogliare” la montagna.
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Solo e senza corda sulla est del Campanile Basso
In base alla sua filosofia bisogna saper salire e scendere arrampicando e lui lo dimostra: il 28 luglio 1911 parte, solo, senza corda sulla parete est del Campanile Basso (gruppo delle Dolomiti di Brenta) e scala in 2 ore questa parete di 120 metri aprendo una nuova via, e naturalmente ridiscende disarrampicando dalla stessa via.
La notizia di quest’impresa farà scalpore nel mondo dell’alpinismo dell’epoca.
Si può dire che con lui, con il suo modo di vivere la montagna, nasce il moderno concetto dell’arrampicata sportiva.
Le sue teorie vengono criticate aspramente dai suoi contemporanei che si battono, per lo più, per un uso logico dei chiodi da roccia. Credono infatti che siano irrinunciabili per la sicurezza durante le scalate, ma che possano essere evitati come mezzi di progressione.
Le Regole di Preuss
Provocatoriamente Preuss pubblica su una rivista specializzata le sue sei regole per lo scalatore che recitano:
- Non basta essere all’altezza delle difficoltà che si affrontano, bisogna essere superiori a esse.
- La misura delle difficoltà che uno scalatore può affrontare in discesa, con sicura e piena coscienza delle proprie capacità, deve rappresentare l’estremo limite delle difficoltà che egli affronta in salita.
- L’impiego di mezzi artificiali trova giustificazione solo in caso di pericolo incombente.
- Il chiodo da roccia deve essere un rimedio di emergenza, e non il fondamento del proprio sistema di arrampicata.
- La corda può essere una facilitazione, ma non il mezzo indispensabile per effettuare una scalata.
- Tra i massimi principi vi è quello della sicurezza. Non però la sicurezza che risolve forzosamente con mezzi artificiali le incertezze di stile, bensì la sicurezza fondamentale che ciascun alpinista deve conquistarsi con una corretta valutazione delle proprie capacità.
Le sue frasi celebri
Sperate sempre in ciò che aspettate, ma non aspettate mai ciò in cui sperate.
Credete solo in ciò che vi convince, ma lasciatevi convincere solo da ciò in cui credete.
Oggi le montagne sono «vinte» con l’aiuto della corda e dei chiodi: un po’ dappertutto si possono vedere persone penzolare da pareti completamente lisce, intere montagne vengono scalate con manovre di corda. Eppure l’esperienza insegna che molti di questi passaggi possono essere superati in arrampicata libera; in caso contrario, tanto vale non intestardirsi in insulsi tentativi. Anche il chiodo da roccia va considerato come un espediente di fortuna e non come un mezzo per conquistare le montagne. Non sarò io a negare che certi scalatori moderni subiscano entro certi limiti il fascino del rischio. Mi sembra però che il pensiero: «se cado, resto appeso a tre metri di corda» abbia moralmente meno valore dell’altro: «una caduta e sei morto!
Hanno detto di Paul Preuss
Tita Piaz Le rocce gli appartenevano. Era il signore delle montagne.
Hans Dülfer Paul Preuss era il più grande maestro.
Luis Trenker Oggi, in tempi di esasperato ricorso a tutti i mezzi artificiali disponibili nell’alpinismo d’avanguardia, tra le grandi personalità degli scalatori che arrampicavano senza guida da me incontrate, va ricordato in modo del tutto speciale Paul Preuss.
Paul Gilly Quell’omino gracile non aveva certo l’aspetto di un alpinista!
Anche Reinhold Messner è un grande estimatore di Preuss. Nel 2011 al Museo di Castel Firmiano gli dedicò anche una mostra con dipinti, filmati, documentari.