Mario Vielmo: “Vi racconto la salita allo Shisha Pangma…”

L'alpinista veneto lo scorso 9 ottobre ha coronato il sogno dei 14 Ottomila...

Mario Vielmo lo scorso 9 ottobre ha raggiunto la vetta dello Shisha Pangma e ha completato così i 14 Ottomila. Montagna tentata diverse, per diversi motivi rimandata. È il 9° italiano (il 10° se si considera anche Fausto De Stefani, la cui collezione non è stata riconosciuta).

Mario Vielmo racconta lo Shisha Pangma

Ora l’alpinista vicentino racconta la spedizione all’ultimo Gigante della Terra…

Cari amici, vi ringrazio tutti per il vostro calore.
Vi racconto la mia salita verso la vetta dello Shisha Pangma.
È l’8 ottobre. Sono appena arrivato al campo a 6900 metri, è da quando siamo partiti dal Cb che penso come sarà quest’anno la parete nord. Sarà pericolosa come lo scorso anno, dove quattro persone, due donne e due Sherpa hanno perso la vita travolti da due valanghe? Questo pensiero mi logora e devo concentrarmi su altre cose.
Quella parete è talmente attraente quanto infernale. Ha inghiottito molto alpinisti. Tra cui l’amico Boyan Petrov nel 2018 e prima ancora Andrea Zambaldi, pure lui assieme a un altro compagno, scomparsi entrambi nel 2014.
Quante vite si è presa la Dea dei pascoli. Rabbrividisco, l’unica cosa che mi dà un po’ di sollievo è la scelta comune di percorrere la via Inaki spagnola. Sicuramente più sicura della classica che taglia l’immenso e ripido pendio.
La partenza è programmata per le 20,30.
Io sono arrivato da poco al C2 e mi rendo conto che ho solamente tre ore per riposare. Poche. Inutile pensarci. Un’ora se ne va per fare acqua, un’altra per cercare di mandare giù qualcosa e l’ultima ora per prepararsi e sistemare tutto quello che serve. Fossi a casa, in 10 minuti farei tutto. Ma quassù ogni singolo movimento è dettato dalla fatica e dallo sforzo mentale di sopportare tutto ciò.
Ecco si parte, fuori è già buio, fa freddo.

 

 

Infilo l’imbrago in tenda così riesco a chiuderlo senza congelarmi le dita delle mani. Fuori dalla tenda, infilare i ramponi e chiudere le stringhe con i guantoni è un impresa, ma mi riesce facilmente.
Si parte, tutti in fila. Li vedo tutti con il respiratore.
Percorriamo la lunga e pianeggiante valle che porta sotto il pendio della spalla del C3. Incontriamo delle tende e altri alpinisti e Sherpa che si stanno preparando. Poi come una processione ci si inerpica sul ripido pendio. Cerco di tenere il ritmo ma presto rimango indietro. Impossibile competere con l’andatura degli ossigenati. Dal giorno prima sto soffrendo di una forma di spondilosi cervicale, dovuta sicuramente ai grandi carichi in spalla degli ultimi anni. Il Brufen preso qualche ora prima non ha avuto effetto, chiedo ad Adrian se ha un antidolorifico, lui con sé ha sempre tutto. Mi consolo e butto giù il pillolone.
Io continuo a salire tenendo il collo fermo, il dolore non passa subito, dovrò attendere alcune ore prima di sentirmi più tranquillo.
Arrivo assieme a Lakpa Bothe Sherpa alla spalla a 7.250 m. Ora dobbiamo attraversare per 800 metri sotto la parete nord dello Shisha. Sopra le nostre teste l’impressionante parete con i suoi seracchi sospesi che intravedo nella penombra notturna. Prego e spero non si muova nulla. Forse dovrei stare tranquillo, ma il mio pensiero va agli amici che sono sepolti qui da qualche parte. Finito il lungo traverso inizio a salire. Ci sono delle corde fisse posizionate qualche giorno prima dal team di Migma G.
La via sale tra piccoli e iniqui seracchi per poi dirigersi verso un costone roccioso e mi tranquillizza in parte. Vedo tante lucette e tanto alte. Il numeroso gruppo mi ha distanziato notevolmente. Ma io ora sto bene e mi sento veloce, anche se fa un freddo bestiale e tira un po’ di vento.
Questa sensazione di serenità dura poco. Le batterie scalda piedi dopo sei ore dalla partenza si sono esaurite. Ora inizio a sentire i piedi ghiacciati, altra preoccupazione che si aggiunge alle altre.
La notte è lunga, eterna. Non voglio ancora pensare a quando arriverà l’alba. Non voglio imbrogliare la mia mente in una attesa che non finirà presto. Devo concentrarmi, non pensare al freddo e salire passo dopo passo.
Per ben tre volte volevo scappare da quell’inferno, buio, freddo e vento mi attanagliano la mente e a volte la questione diventa quasi incontrollabile. Se ti lasci andare è finita, se solo segui l’istinto che ti dice di girarti e fare un passo indietro, poi ti lasci andare verso valle e puoi dire addio alla tua vetta.
È come avere un mal di denti pazzesco e decidere di prendere un farmaco e fartelo passare o aspettare che il dolore se ne vada per conto proprio. Non è facile in certe situazioni fregare così la tua mente. Ma il pensiero di dover ritornare di nuovo qui allo Shisha mi dà un’incredibile forza di proseguire verso la fatica e nel resistere alle debolezze. Combattere la fatica e salire diventa superiore a tutto. Nulla mi può fermare.
Alle 7 del mattino vedo all’orizzonte, verso est, una striscia più chiara. L’alba sta arrivando. Mi trovo su un ripido pendio che porta sulla cresta terminale. Vedo molti alpinisti scendere. Ci incrociamo. Alcuni li riconosco dietro le loro maschere. Altri mi riconoscono, nonostante indossi una maschera con filtri che mi ha prestato il mio amico Adrian. Qualcuno mi incoraggia. “Dai Mario, hai solo un ora e mezza”. Prendo fiato e non penso. Sono stanco, tremo dal freddo e non sento più le dita dei piedi. Finalmente la luce dell’alba si dirada sempre più e velocemente escono i primi raggi di sole che mi tranquillizzano.
La giornata è stupenda, da sud qualche debole nube si avvicina sulla sommità per poi dissolversi. Ormai il sole è fuori e sento il suo lieve calore. Vedo la cima, in fondo a una cresta un po’ ripida che raggira un piccolo attacco. Mi sento stanco e un po’ strano, quasi ubriaco dalla fatica, come se avessi delle vertigini. Manca poco, mi faccio coraggio. Ormai ci sono. Incontro Nims che scende con la sua cliente. Lo saluto.
Alle 9,40 del 9 ottobre, assieme a Lakpa raggiungo la cima dello Shisha Pangma. Il mio quattordicesimo 8000. L’ultimo di una collezione partita 28 anni prima. Mi sarei aspettato una lacrima di gioia. Invece niente, sono rimasto impassibile. Ho frenato qualsiasi emozione e non capisco perché. Forse il mio inconscio sapeva già di questo momento, era preparato quindi indifferente.
Ma comunque mi rallegra, dico tra me e me “è finita”. Ora non ho più nulla da scalare. O almeno non ci devo pensare. Mi concentro sulle ultime cose da fare. Sventolo la bandiera delle olimpiadi invernali di Milano e Cortina, la bandiera di Trek for Mandela ed altre. Poi la discesa, lunga e faticosa, in fretta perché al pomeriggio sono previsti venti a oltre i 60 kmh. Il mio pensiero corre verso valle, verso il caldo, verso casa, dove qualcuno mi sta aspettando…

 

Gli Ottomila di Mario Vielmo

  • Dhaulagiri 1998
  • Manaslu 2000
  • Cho Oyu 2001
  • Everest 2003
  • Shisha Pangma 2004 (cima centrale)
  • Gasherbrum II 2005
  • Makalu 2006
  • K2 2007
  • Kangchenjunga 2013
  • Annapurna 2016
  • Lhotse 2017
  • Broad Peak 2019
  • Gasherbrum I 2021
  • Nanga Parbat 2023
  • Shisha Pangma 2024

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