Come nascono le montagne? I monti della Calabria ne riscrivono le teorie
Come sono nate le montagne? Come si elevano al cielo? Abbiam sempre saputo che alla base c’è lo scontro tra placche tettoniche. Ora una ricerca va più a fondo e rimette tutto in discussione. Alla base c’è una ricerca sui monti della Calabria.
I monti della Calabria, infatti, stanno riscrivendo, secondo lo studio, le teorie finora ritenute complete sulla nascita delle montagne: oltre al lento scontro tra placche tettoniche, in cui una parte della crosta terrestre finisce sotto la superficie e un’altra viene spinta verso l’alto, qui sembrano entrare in gioco anche altre forze, che risiedono molto più in profondità.
Lo studio
È quanto afferma uno studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience e guidato dall’Università Statale americana del Colorado, che ha utilizzato la Calabria come un ‘registratore geologico’ per elaborare la storia dell’origine dei suoi monti, in un periodo di oltre 30 milioni di anni.
“La nascita delle montagne è un processo fondamentale per capire come si comporta la Terra”, spiega Sean Gallen, alla guida dello studio, “e la nostra ricerca suggerisce che forse non lo conosciamo così bene come pensavamo”. Secondo i dati raccolti dai ricercatori, infatti, la storia di sollevamento scritta nelle rocce del Sud Italia non si adatta bene alle velocità con cui le placche tettoniche al di sotto delle montagne si scontrano: anzi, in questa zona l’attività della crosta terrestre sembra essere un fattore secondario.
Gli autori dello studio pensano che, in Calabria, la formazione dei monti si debba imputare ad una cosiddetta ‘cella di convezione’ del mantello, l’involucro terrestre compreso tra la crosta ed il nucleo: queste celle si formano quando il calore proveniente dal nucleo terrestre fa sì che il magma fluido nel mantello si muova secondo uno schema circolare, influenzando l’attività tettonica soprastante.
“Questo fenomeno è già stato teorizzato in passato, ma non è mai stato osservato in natura”, aggiunge Gallen: “Questa è la prima volta che pensiamo di averlo osservato”. I ricercatori sottolineano, tuttavia, che saranno necessari ulteriori dati per confermare questa interpretazione.