Gli 80 anni della salita di Cassin alle Grandes Jorasses
Organizzata dal CAI Torino ed dal CAI Uget, si svolgerà domani sabato 28 luglio, al rifugio Monte Bianco del CAI Uget in Val Vény, la commemorazione di una delle più grandi imprese alpinistiche degli anni trenta: la prima della parete Nord delle Grandes Jorasses (parete Walker) da parte della cordata italiana Cassin, Esposito, Tizzoni (4-6/8/1938).
Nella stessa circostanza verrà rievocata anche la scomparsa dell’alpinista torinese Gabriele Boccalatte, ucciso da una scarica di sassi, insieme al compagno Mario Piolti, solo qualche giorno dopo, salendo l’Aiguille de Triolet.
Alle ore 11, il giornalista della Stampa Enrico Martinet rievocherà la storica salita e il Presidente del CAI Torino Gianluigi Montresor la figura di Gabriele Boccalatte.
Contemporaneamente alcune cordate delle Scuole alpinistiche del CAI Torino e del CAI Uget saliranno al rifugio Boccalatte, e la domenica affronteranno la via normale delle Grandes Jorasses, a ricordo simbolico della ricorrenza.
Al gestore del Rifugio Boccalatte, Fanco Perlotto, verranno consegnate due riproduzioni: la pagina della Stampa con la notizia dell’epica impresa con la celebre foto della cordata Cassin, e un’immagine di Gabriele Boccalatte, a cui il rifugio è intitolato.
Inoltre, è prevista per l’autunno, al Museomontagna di Torino, una serata di approfondimento sull’alpinismo torinese degli anni ’30-’40, una storia ricchissima di eventi ed imprese.
Un po’ di storia
La prima ascensione della Punta Walker, la più elevata del gruppo, risale al 30 agosto 1868 (150 anni fa), e fu realizzata, lungo l’attuale via normale, da Horace Walker (di Liverpool), con Johann Jaun (guida svizzera di Meiringen) e Julien Grange (guida di Courmayeur).
Ma tutto il mondo alpinistico europeo, alla fine degli anni ’30, era in fibrillazione per la soluzione di uno dei grandi problemi ancora irrisolto, lo sperone roccioso (denominato “sperone Walker”), quello che sale direttamente alla vetta più alta delle Jorasses.
Assediato dalle più forti cordate francesi, austriache e tedesche, ma anche italiane (tra tutti la cordata Gervasutti-Ottoz), la via venne vinta da Cassin, Esposito e Tizzoni, dopo quattro giorni di dura lotta e con tre bivacchi. Il mito della salita – enfatizzata dal regime come una vittoria degli “atleti fascisti” – si arricchì con molti particolari inediti: tra tutti la decisione con cui Cassin, che mai era stato da quelle parti, affrontò la salita (con solo l’ausilio di una fotografia) e, col più classico “veni-vidi-vici”, portò a casa una vittoria che stupì il mondo alpinistico.
Ma, oltre alla competizione alpinistica, esisteva anche una forte competizione giornalistica, cosicchè la cronaca (oggi si direbbe “in diretta”) dell’impresa, fu appannaggio esclusivo e segreto del giornalista della Stampa Guido Tonella, anche esperto alpinista del CAI Torino. Tonella, preavvertito dallo stesso Cassin, si era portato alla Capanna Leschaux, punto di partenza, e da lì seguì passo passo la salita, documentando giorno per giorno l’andamento della stessa. Coi mezzi dell’epoca, come lui stesso racconta, ogni volta che doveva inviare “il pezzo” al giornale, scendeva dalla Leschaux e in cinque ore, attraversando la Mer de Glace, risaliva al Montenvert, da dove telefonava alla Stampa. Quando si rese conto che la cordata poteva essere all’uscita della via, insieme a Gervasutti e Ottoz, risaliva al Colle del Gigante, scendeva a Courmayeur, per poi portarsi alla Capanna delle Jorasses (attuale Rifugio Boccalatte), per accogliere i vincitori sulla via di discesa. Lì era in attesa un altro grande del CAI Torino, Toni Ortelli. E fu lì che fu scattata la celebre foto dei tre, reduci dall’impresa.
Profilo di Gabriele Boccalatte
Gabriele Boccalatte, alpinista torinese, in forza al CAI Torino, fu uno dei più forti scalatori degli anni ’30, accompagnatosi col fior fiore dell’alpinismo torinese dell’epoca (Gervasutti – Ghiglione – Ortelli – De Rege – Rivero – Piolti), finchè nel 1932 incontrò il suo compagno definitivo, quella Ninì Pietrasanta che divenne poi sua moglie e con cui compì innumerevoli e importanti salite. Nel libro Piccole e grandi ore alpine raccontò le sue imprese, sempre con la sua innata modestia. Figlio di artisti fu lui stesso un musicista di alto valore, concertista di pianoforte.
Morì insieme all’amico Mario Piolti sulla parete sud-est del Triolet, per una caduta di sassi, il 24 agosto 1938. Il Rifugio Boccalatte-Piolti è dedicato a questa figura emblematica dell’alpinismo anteguerra.
Scrisse di lui un bellissimo ricordo Massimo Mila. Se ne riportano alcuni stralci:
“L’aggettivo che ritorna più spesso nei suoi ricordi d’alpinista è: «elegante» (…)
Questo era il modo d’arrampicare di Boccalatte, che aveva teorizzato un suo sistema della spinta e controspinta, cioè non tirarsi su di peso brutalmente con due mani in alto, ma possibilmente usarne una sola per tirare e l’altra averla in basso per spingere il corpo. Era una concezione eminentemente ritmica della progressione su roccia e qui, sì, il musicista si sposava tecnicamente con l’arrampicatore. Un gatto, era, su roccia; e del gatto aveva qualche cosa anche nel fisico, non alto, ma armoniosamente proporzionato (…)
Non si trattava di moralismo puritano contro l’uso dei chiodi, che Boccalatte adoperava benissimo con confidenza e disinvoltura che a quei tempi erano ancora poco diffuse nell’ambiente occidentale. Il fatto è che le vie a goccia d’acqua non «interessavano» Boccalatte, perché violentando la montagna gli toglievano il piacere più grande dell’alpinismo: capire la montagna. La pratica e il costume di Boccalatte sono la prova palmare che l’alpinismo è, nella sua intima essenza, conoscenza e pertanto un fatto di cultura. Conoscenza del terreno, della crosta terrestre, e pertanto, in sostanza, esplorazione, anche quando si tratta soltanto di esplorare pochi metri quadrati arrampicabili in seno a una parete. L’astuzia del montanaro che cerca i punti deboli non era dettata in Boccalatte dal proposito utilitario di ottenere il maggior risultato col minor dispendio di energie” (…)
Ma coi ramponi dell’amico Grivel, Boccalatte passava come un angelo su pendii di ghiaccio duro, incidendovi minime scalfitture ad uso dei malcapitati compagni di cordata. E bisognava amarlo anche per questo, per l’onorifica fiducia che ti dimostrava, dopo averlo maledetto e insultato per l’indifferenza con cui lasciava che il secondo si sbrigasse da solo i fatti suoi. «Trovo molto piacere, mentre ritiro la corda, nel contemplare il panorama e nel fumare di continuo sigarette» (p. 144). E a quella corda era legata Nini, mica un compagno qualunque…”.
CAI Torino – CAI Uget Torino (Lo Scarpone)