L’arrampicata? Come una partita a scacchi tra arrampicatore e roccia
Stringere la presa, spostarsi e raggiungere la successiva, continuando ad interpretare le forme della roccia, cercando di concatenare movimenti corretti nella incessante ricerca di equilibrio. Una partita a scacchi tra l’arrampicatore ed il percorso prescelto, una partita in cui una semplice mossa può determinare l’innocua caduta o la chiave del successo. Sensibilità, concentrazione, controllo delle proprie emozioni, intelligenza motoria sono le abilità richieste. Forza e resistenza subentrano solo quando le difficoltà divengono elevate.
Pian piano il terreno da cui si è partiti si fa sempre più distante, soltanto il respiro ed il battito del cuore accompagnano le sequenze di movimenti. Il compagno, alla base, manovra la corda, vero e proprio cordone ombelicale, seguendo attentamente ogni spostamento del primo di cordata. Tutto attorno cornici naturali di notevole bellezza, contribuiscono a rendere ogni salita un vero e proprio viaggio nell’anima. Arrivare in alto, avere la possibilità di guardare davvero il mondo da un’ottica inusuale, la soddisfazione per esserci riusciti, sono le ricompense di cui intimamente gioire. Un viaggio, quindi, che tutti possono intraprendere, a dispetto dell’immaginario collettivo che annovera l’arrampicata sportiva (o “free-climbing” nella traduzione anglosassone) tra le attività “estreme”. Niente di tutto ciò. Questa disciplina nasce come costola dell’alpinismo classico e se ne differenzia perché ha, come fine, non il raggiungimento di una cima bensì il superamento di itinerari su roccia (“vie”) e su strutture artificiali, solo attraverso l’uso del corpo. Le dita delle mani divengono allora estroflessioni della mente, i piedi, aiutati da calzature specifiche, si trasformano in arti prensili a cui affidare gran parte del sostegno del corpo.
Corde, imbrachi, moschettoni sono utilizzati unicamente per garantire la totale incolumità in caso di volo, eventualità, questa, considerata un semplice insuccesso sportivo, da cui ripartire per una nuova partita. Il chiodatore, o il tracciatore nel caso delle strutture sintetiche, è colui che, intuendo le linee delle possibili salite, le attrezza con tasselli e materiale specifico; ad ognuna di queste assegna poi un nome, scrivendolo alla base, una sorta di firma al termine dell’opera.
Le falesie, o strutture rocciose di fondovalle, costituiscono il terreno di gioco e sono spesso inserite in contesti ambientali decisamente suggestivi. Il gesto sportivo trova quindi spazio ed espressione lontano dai consueti impianti in cui si è avvezzi trascorre il tempo libero; tale sinergia tra movimento e ambiente racchiude un contenuto emozionale difficilmente eguagliabile da altre attività.
Nel prossimo articolo entrerò nel vivo, scrivendo di come avvicinarsi a questa attività, dei materiali e della materia prima, cioè delle pareti e muri indoor.
Riccardo Quaranta
r.quaranta@mountlive.com