Dedico queste pagine a quelli che, come me, considerano l’alpinismo un gioco incontaminato.
IL LIBRO
Così scriveva Mummery presentando il racconto di un quindicennio di avventure sulle Alpi e nel Caucaso.
Quando uscì a Londra, nel 1895, il libro destò impressioni perché nessuno aveva mai compiuto scalate tante audaci nel gruppo del Monte Bianco, sul Cervino, sulle cime del Vallese, ma soprattutto nessuno aveva mai osato farlo senza l’aiuto di guide.
Pochi mesi dopo, Mummery scomparve in Himalaya in un tentativo al Nanga Parbat troppo prematuro, e tutti pensarono a una fine annunciata. Nel primo Novecento, invece, divenne chiaro che quelle idee non erano follia, ma l’essenza dell’alpinismo moderno, e il libro di Mummery ne diventò il testo fondamentale.
La sorte. La sorte ha salvato la sua autobiografia alpinistica. La sua fama e la sua influenza sull’alpinismo del Novecento hanno corso una serio pericolo: se Mummery all’inizio del 1895 non si fosse sbrigato a pubbligare le sue memorie di montagna prima di far le valigie per l’Himalaya, noi ora saremmo privati di una letteratura appassionante e lui non sarebbe considerato il fondatore dell’alpinismo moderno.
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Editore: Priuli & Verlucca
Formato: cm 12,5×20,
Pagine: 300, 24 tavole fuori testo
Prezzo: 18,07 €
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L’AUTORE
Il grande alpinista austriaco Hermann Buhl, che nel 1953 conquistò per primo la cima del Nanga Parbat, su cui Mummery era scomparso oltre mezzo secolo prima durante il primo tentativo assoluto di scalata di un ottomila, lo definì «uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi».
Mummery sì, fu un mostro dell’alpinismo (professione: docente di economia). Un purista dell’alpinismo. Insomma, fu tra i primi a proporre un alpinismo senza mezzi artificiali, che contasse solo su quelli che egli stesso definiva “mezzi leali” (fair means).
Impossible by fair means
In quest’ottica, rinunciò alla salita del Dente del Gigante, dove si era arrestato su una placca granitica troppo liscia per essere salita in arrampicata libera; in quest’occasione lasciò sul posto una bottiglia contenente un messaggio che recitava: impossible by fair means (impossibile usando mezzi leali).
Oltre che nel sostenere un alpinismo senza guide (e nel dimostrarne nella pratica la fattibilità, per esempio nel 1894 sullo sperone della Brenva del Monte Bianco), anche nel proporre un allargamento degli orizzonti, ponendosi come nuovi e ambiziosi obiettivi le grandi montagne dell’Himalaya.
Il Nanga Parbat
Nell’estate 1895 organizzò la prima spedizione in assoluto a tentare la salita di un ottomila, con l’obiettivo di raggiungere la cima del Nanga Parbat (8.125 m). Ma il tentativo era di gran lunga troppo in anticipo sui tempi (il primo ottomila fu conquistato solo nel 1950), sia per le attrezzature a disposizione e le tecniche dell’epoca, sia per la scelta di effettuarlo con una spedizione ridotta al minimo (solo sei uomini: Mummery con altri tre alpinisti britannici, Collie, Geoffrey Hastings e Charles Bruce e due portatori gurka Raghobir Thapa e Gaman Singh), in quello che decenni più tardi sarebbe stato definito stile alpino.
Lo sperone
Dopo l’avvicinamento lungo la valle ai piedi del versante Rupal, il gruppo si spostò per tentare la salita sul versante Diamir, su cui venne raggiunta la quota di 6.100 m. Mentre Collie, Bruce e Hastings abbandonavano per i disturbi dell’alta quota, il 24 agosto Mummery fece un ulteriore tentativo con i soli portatori, tra le cime secondarie del Nanga Parbat II e del Ganalo Peak, con l’intenzione di ricongiungersi poi ai compagni sul versante Rakhiot, ma i tre scomparvero nel nulla. Probabilmente travolti da una valanga…
Albert Frederick Mummery nacque a Dover il 10 settembre 1855, morì sul Nanga Parbat il 24 agosto 1895.
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