Marco Majori: “Così abbiamo conquistato il Cerro Torre” [fotogallery]
Domenica scorsa la cordata italiana (Esercito Italiano) ha raggiunto, con la Spedizione Patagonia a 360°, la spettacolare ed insidiosissima vetta del Cerro Torre in Patagonia (3102 mt). La notizia l’abbiamo riportata ieri; oggi proponiamo il racconto che Marco Majori, alpinista della Sezione Militare di Alta Montagna, fa della sua ascesa.
Con lui c’erano Marco Farina e François Cazzanelli, alpinisti della Sezione Militare di Alta Montagna. La salita per la “Via dei Ragni”, lì dove l’altra cordata italiana conquistò la vett del “siluro di granito”.
Marco Majori: “Dicono che la calma sia la virtù dei forti. Ebbene questo viaggio ne è stato la dimostrazione. Il Cerro Torre, la montagna più affascinante della terra, si concede solamente nei nostri ultimi 4 giorni a disposizione. Venerdì 12 entriamo per l’ennesima volta al Nipo Nino e l’idea e’ di dormire in tenda per poi ripartire il giorno seguente; invece passiamo la notte collaborando all’operazione di soccorso di due ragazzi di Pescara, scivolati sul ghiacciaio del colle Standhart. (I due se la caveranno con qualche osso rotto)
Verso le 3:15 di Sabato riusciamo a partire, anche se non siamo più molto convinti. Cerchiamo di non pensarci, passiamo il colle Standhart e verso le 12 ci ritroviamo 150 metri sotto il colle della Speranza. La giornata e’ magnifica, senza vento, senza nuvole, sembra di essere in spiaggia… Ciò basta per farci tornare la motivazione alle stelle. Scaviamo una truna e ci riposiamo qualche ora.
All’una di Domenica attacchiamo. Raggiungiamo veloci l’elmo e siamo alla headwall alle prime luci. Iniziano le difficoltà. La superiamo non banalmente e con un bel dispendio di energie. E poi… Dove si va? Delle cattedrali di neve strapiombante, anche dette funghi, sembrano sbarrarci la via. Scorgiamo un buco e ci infiliamo dentro. Cambiamo pianeta per due tiri e superiamo anche questi due funghi di neve. Il sistema di tubi, mezzi tubi e rigole, che ci permettono di raggiungere la base dell’ultimo tiro, hanno semplicemente dell’incredibile.
Siamo così alla base del temutissimo ultimo tiro. Una cordata di americani ha già aperto le danze e dopo i primi 10 metri passati a scavare, sfruttano uno stretto half pipe creato dal vento. Ci guardiamo negli occhi, sorridiamo e un’ora dopo, verso le 13:30, siamo in cima!
Nessuno parla, il panorama mozza il fiato. Nessuno ci crede ancora, e’ un sogno! Rimaniamo in vetta tutto il tempo necessario… Questa e’ la nostra ricompensa! Alla fine di un tempo impossibile da misurare, scattiamo le foto di rito e non senza preoccupazioni iniziamo la discesa.
Alle 18 siamo nuovamente alla truna. Ce la prendiamo comoda ed ora e’ proprio il caso di dirlo: E’ fatta! Passiamo la mite notte all’esterno, su di un sasso poco sopra il Filo Rosso. Domenica mattina alle 5 ripartiamo. Meta: Piedra del Fraile, passando dal passo Marconi. La traversata dello Hielo Continental si rivela un disastro per la presenza di una discontinua crosta non portante, in cui affondiamo a tratti fino al ginocchio. Dopo 12 ore e circa 45 km di zaini pesanti e fatica allo stato puro, arriviamo a destinazione sotto la pioggia. Ad attenderci Remo, che con tre Coca Cola ed una sincera stretta di mano, ci spazza via ogni ombra di sconforto”.