Reinhold Messner: Le città sono camicie di forza
Un Reinhold Messner a tutto tondo in una intervista sul Corriere della Sera pubblicata lo scorso 15 giugno. Montagna, alpinismo, i Musei, il cinema, l’alpinismo e l’arrampicata, il suo ’68 e la sua visione di vita, la famiglia, i figli.
Le città sono camicie di forza: quanto più te ne allontani, tanto più torni a essere te stesso, un uomo che segue il suo istinto e incontra un albero, un fungo, un mirtillo. Uscivo dall’Università e andavo in montagna. Sentivo il bisogno di respingere quel sistema sociale, ma dovevo andare, fare, arrampicare. Vado incontro alla vita. Un po’ zoppo, ma vado. Il domani non mi spaventa.
Messner parla anche della morte, il posto dove verrà messa la sua cenere.
È qui a Juvara, in un chorten tibetano molto semplice che ho fatto costruire ai muratori di qui con l’aiuto di amici nepalesi. Pensare a questa bella dimora spirituale mi dà pace. Ho sempre saputo di avere un limite temporale.
E arrampica ancora.
Da secondo di cordata, con mio figlio Simon, che è fortissimo e mi prende in giro perché non mi alleno… Anche con Anna, che ha 16 anni. Ma oggi preferisco andare dentro anziché sulle montagne: raggiungere posti isolati, sentire il rumore dei passi, perdermi nell’infinito. Le cime non m’interessano più.
Il suo senso della paura?
È l’altra metà del coraggio. Una risorsa necessaria, perché ti mostra il tuo limite. Nel periodo dell’alpinismo eroico, gli anni Venti e Trenta, era vietato parlarne. Era sconveniente. Sono stato tra i primi, nella mia generazione, a farlo apertamente.
Il suo chiodo fisso, il no al turismo forsennato in montagna…
Che impressione le fa vedere i sentieri affollati? Mi domando se quella folla ha l’esperienza per apprezzare l’ambiente in cui sta camminando. L’equipaggiamento è impeccabile, ma sono consapevoli sia dei rischi che si corrono sia delle bellezze che vedono? L’alpinismo non è turismo né sport: è un fatto culturale. Imparare a muoversi, anche su un sentiero tracciato, è un processo che richiede pazienza e studio. Io ho fatto 70 anni di alpinismo, la mia prima ascensione l’ho fatta a 5 anni con mio padre, e non sono ancora un alpinista perfetto, non lo sarò mai.
QUI l’intervista integrale