Roberto Delle Monache: “Dan mi parlava di un alpinismo visionario”
Il 25 febbraio 2019 Daniele Nardi, con Tom Ballard, muore sul Nanga Parbat. Il ricordo dell'amico di sempre, di un suo storico compagno di cordata...
di Roberto Delle Monache
Confesso che quando mi è arrivato il messaggio di Fabio Zampetti (direttore del quotidiano online Mount Live) ho impiegato un po’ per rispondere. L’ho letto e riletto una decina di volte; quello che mi ha chiesto va a toccare un nervo scoperto, raccontare di Daniele. Il mio timore era se avessi mai avuto il coraggio di fare questo viaggio tra ricordi ed emozioni vissute con un amico.
Io e Daniele ci siamo incontrati nell’estate del 2000 sulle pendici della Majella, un massiccio montuoso a ridosso della costa abruzzese, che offre un terreno ideale per allenarsi con grandi dislivelli e pendii continui. Io mi preparavo con Mimmo per la nostra seconda esperienza extraeuropea Aconcagua, lui si allenava con Claudio che stava organizzando una spedizione al Gasherbrum II… la nostra prima avventura in Karakorum.
All’apparenza non aveva l’aspetto di un alpinista, era tutto stropicciato, ma aveva lo sguardo fisso e determinato già da allora con occhi che guardavano lontano.
La nostra prima volta su un 8000 non fu delle più gratificanti, eravamo nuovi in quell’ambiente, facevamo fatica a capire le scelte del capospedizione. In quella spedizione Daniele aveva avuto molti problemi di stomaco e per questo costretto al campo base, io andai su e mentre scendevo dai 7400 metri me lo trovai a campo 2, mi disse “dovevo salire”. In quel momento ho avuto la percezione della grande passione che quel ragazzo aveva per la montagna.
Da quell’anno Daniele non si è più fermato, l’anno dopo sul Cho Oyu, poi Everest, e già sognava il suo primo grande traguardo il k2, ma soprattutto già stava maturando in lui una visione diversa di alpinismo, cercava di essere sempre più veloce ed essenziale. Si allenava spesso anche sulle alpi in solitarie, andando a cercare angoli remoti e poco battuti.
La cosa particolare è che noi due in Himalaya siamo stati poche volte insieme, abbiamo scalato sempre sulle alpi e sulle montagne di casa, abbiamo fatto sempre programmi, poi spesso per vari motivi non si riusciva ad andare. Lui era un vulcano di idee in continua eruzione, è riuscito a portare a termine anche tre spedizioni in un anno, io invece ho sempre condotto uno stile di vita più ”normale”, ho sempre vissuto l’alpinismo come un divertimento e tra un infortunio e l’altro ho portato avanti la mia passione. Dopo la prima esperienza del 2001 ci siamo ritrovati sul ghiacciaio del Baltoro nel 2007 lui al K2 io al Broad Peak.
In questi anni Daniele mi ha sempre parlato di progetti, idee ma soprattutto di un alpinismo puro veloce innovativo di ricerca, mi parlava di un alpinismo “visionario”, parlava di avere il coraggio di pensare in grande e di impegnarsi fino in fondo per realizzare i propri sogni. Andavamo in giro per le alpi e sognavamo grandi montagne, grandi pareti, ma soprattutto sognavamo il grande alpinismo.
Nel 2008 stavamo scendendo da un tentativo alla cresta di Tronchey al Grandes Jorasses e dopo una intera giornata sotto una pioggia battente a cinquecento metri dall’auto su un ponticello in legno bagnato sono scivolato e il peso dello zaino mi ha sbattuto a terra, il risultato è stato la sub lussazione della spalla destra. Un dolore lancinante, però poi tra ghiaccio antidolorifici e testardaggine ho continuato a lavorare e scalare per un anno.
L’inverno seguente dopo una settimana in giro per la Valle d’Aosta a scalare su ghiaccio ero ridotto come uno straccio, Daniele mi portò a Latina dal suo ortopedico; con il braccio destro non riuscivo più neanche a grattarmi la testa. Sono stati due anni durissimi, operazione, fisioterapia e soprattutto la testa che non voleva sbloccarsi.
Ad un certo punto Daniele decise che era ora di ripartire così siamo andati a curiosare in India, era il 2011 ed eravamo sul Bhagirathi dove abbiamo scalato una linea di ghiaccio che si era formata lungo la parete ovest tra il Bhagirathi III e IV. Abbiamo chiamato quella via “Il Seme della Follia….Fa l’Albero della Saggezza”. Rientrati al campo base siamo venuti a conoscenza della scomparsa di Walter Bonatti, e ci sembrò naturale dedicarla a lui. Quella salita è poi stata insignita dal C.A.I. con il premio Paolo Consiglio.
La spedizione del 2011 in India ha avuto un effetto devastante su di me, per la prima volta ho toccato con mano, ho provato sulla mia pelle e ho goduto della gratificazione data da quel grande alpinismo di cui sempre si parlava, lo stile alpino leggero veloce che non lascia tracce, tutto ciò che ti serve lo devi avere nello zaino, si sale e si scende. Quell’esperienza mi ha cambiato, mi ha dato una nuova consapevolezza come alpinista , una nuova visione di un alpinismo che mi piace.
Io e Daniele siamo cresciuti insieme, uno c’era sempre per l’altro anche se non ci sentivamo per un po’.
Un giorno ero a lavoro e mi squilla il telefono, era lui, mi disse ”mi porti in montagna?”. Era tornato dal Makalu dove aveva avuto gravi problemi di salute finendo anche ricoverato in ospedale a Kathmandu, era in un periodo nero, i dottori gli avevano detto di abbandonare il mondo dell’alta quota…. Ci siamo trovati a Campo Imperatore, siamo andati a fare due passi sul Gran Sasso e salendo piano piano per la direttissima si chiacchierava, era primavera e c’erano ancora delle chiazze di neve. Durante la discesa si bloccò e non riusciva più a scendere, non lo avevo mai visto in quelle condizioni, siamo stati lì seduti per un po’ a parlare a ridere a stare in silenzio….. eravamo li in quell’ambiente e stavamo bene.
Eravamo due caratteri opposti, io schivo riservato e di poche parole, lui invece chiacchierone e casinaro non impiegava molto a farsi notare, comunque facevamo un sacco di casino e poteva succedere che questo non piaceva.
Nell’ inverno 2013 c’era tanta neve, io ero a casa con un ginocchio rotto. Il 17 di gennaio mi arrivò una telefonata da un numero satellitare; era Daniele che mi chiamava dal campo base del Nanga Parbat chiedendomi se quello che aveva letto in rete era vero. Una valanga aveva portato via due ragazzi, due amici, Fabrizio e Lanfranco. Io e Fabrizio eravamo praticamente fratelli, ci conoscevamo da piccoli scalavamo ma soprattutto sciavamo insieme. La mia risposta fu secca e brutale “SI”, non ci furono altri discorsi ci limitammo solo a salutarci.
Questa è stata una vicenda che mi ha segnato profondamente, pensavo di averla risolta ma l’avevo solo accantonata, e prima o poi la mente ci riporta davanti ai nostri demoni.
Nel 2015 Daniele mi chiese di andare con lui al Nanga per dargli una mano, Federico Santini fotografo movie maker e regista del docu-film “Verso l’ignoto” aveva bisogno di un assistente e di una persona che lo aiutasse a muoversi in quell’ambiente. Anche se non ero allenato accettai, mi affascinava questa nuova esperienza. Partimmo il 27 dicembre, Capodanno a Chilas in tre in camera a guardare un film su pc. Nel giro di una settimana eravamo al campo base del versante Diamir del Nanga Parbat. In inverno è ancor più impressionante, faceva un freddo che lo sentivi fin dentro le ossa e quella sarebbe stata la costante per tutti i sessanta giorni di permanenza.
Al cb ci incontrammo con Elisabeth e Tomek che avevano già fatto un giro di ricognizione sotto la parete e avevano scelto di scalare su un‘altra via, Daniele mi chiese se gli davo una mano e alla fine mi sono ritrovato a scalare sotto lo sperone Mummery. Durante la salita tra scricchiolii e assestamenti del ghiacciaio, un ponte di neve gigantesco che quasi crolla sotto il nostro peso, un mal di schiena insopportabile, mi hanno riportato a galla quei demoni messi da parte, ed è successo tutto in uno dei posti più infami che io abbia mai calcato. Vista la situazione l’unica cosa che potevamo fare era scendere, e cosi abbiamo fatto, Daniele mi accompagnò al cb e li per parecchi giorni ho cercato di rimettere a posto i pezzi della mia esperienza, delle mie convinzioni andati in frantumi. Lì Daniele ha cercato di farmi reagire in ogni modo, anche in modo duro, ma la mia mente si era chiusa.
Ad ogni spedizione Daniele mi chiedeva se andavo con lui e questa cosa mi ha sempre fatto piacere, però dopo il 2015 ho pensato che tra di noi qualcosa fosse cambiato, invece anche nel 2019 la telefonata di Dan con il suo classico invito c’è stata….” Ti va di venire?”
In ogni spedizione che abbiamo fatto separatamente ci siamo sempre sentiti per telefono prima di partire o ci siamo comunque salutati in aeroporto. Ogni volta che l’ho chiamato per salutarlo la mia frase di chiusura era sempre la stessa “ non fare cazzate!”. Nell’ultima spedizione ci siamo sentiti qualche settimana prima per altro e mi comunicò il giorno della partenza. Probabilmente capii male; ho dimenticato il giorno o mi sono confuso, comunque la mia telefonata per salutarlo è arrivata in ritardo. Aveva già spento il telefono…. Non so se ha mai letto il messaggio che gli ho inviato.
Ho sempre pensato che stare li a riportare curriculum è del tutto inutile, se non per questioni tecniche, alla fine è solo un elenco di nomi e numeri. La differenza la fa la sensibilità e la curiosità con cui si vive l’esperienza, questo ci fa crescere e ci cambia anche come persone. Daniele quando l’ho conosciuto aveva gli occhi di una persona curiosa, è cresciuto come alpinista e come uomo seguendo la strada della ricerca, era un visionario, era un innovatore. Aveva il suo carattere con pregi e difetti, ha raggiunto traguardi e ha fatto degli errori, ma di certo non era un cattivo diavolo.
La curiosità è” Il seme”. Il coraggio che ti porta a guardare dietro l’angolo, oltre una cresta o sopra uno strapiombo è ”La follia”. L’esperienza che tutto questo ci porta, la crescita ,il cambiamento è “L’albero della saggezza”….
Buon viaggio Dan.
Un sogno, una vita…..
complimenti davvero un ‘intervista meravigliosa che racconta davvero Daniele <3 semplice , emotiva, puntuale con grandi riferimenti al dolore che un alpinista passa e la testa quella che deve far coincidere tutto anche il cuore . La bella amicizia fra voi fino alla sua scomparsa che ci ha lasciato un vuoto , xchè si gli alpinisti son tutti dei sognatori ed è per questo che li amiamo ! <3