Sul Nanga Parbat una via che si chiama Mackiewicz-Revol
In questi giorni si è scritta una pagina importante dell’alpinismo himalayano. Una storia tragica. Un soccorso titanico. Di uomini senza eguali. Siamo stati in trepidazione, tutti noi, per le sorti degli alpinisti. Abbiamo gioito quando Elisabeth Revol è finalmente salita sull’elicottero per essere condotta a Islamabad e quindi in ospedale. Abbiam tirato, tutti, un sospiro di sollievo: Elisabeth è salva.
Ma un nodo alla gola spezza la gioia: lassù a 7.200 metri, forse morto, forse ancora in agonia, c’è Tomek Mackiewicz. Un duro pure lui. Nel fisico, nella testa. Ma per lui non c’è stato nulla da fare. Il meteo ci si è messo contro. Quei salvatori non potevano proprio farcela a salire a quella quota e poi c’era da portare al campo base la Revol. Una decisione obbligata.
Tomek resterà lì, almeno per il momento. Lì dove l’ha salutato Elisabeth. Resterà sulla sua montagna, dopo esserci salito finalmente. Se n’è andato con questo pensiero, forse. Essere salito in cima agli 8.126 metri al settimo tentativo. Se n’è andato pensando alla moglie, ai suoi tre figli. Alle tante vette raggiunte, ai tanti giorni trascorsi su quella montagna. Dopo l’evacuazione di Revol, nella tarda mattinata si è tentato un disperato salvataggio. O meglio: cercare di allertarlo. Facendo partire un elicottero che visionasse lì a quella quota. È stato risposto di no, troppo pericoloso con quel meteo in arrivo, e i velivoli non superano i 6.000 metri. Ma Tomek ormai aveva il destino segnato. Perdere la vista, significa che sei messo male. Forse troppo rischio per nulla? La macchina dei soccorsi, comunque, pare, sia stata organizzata e si sia mossa per salvare Revol. Se il meteo reggeva anche oggi, chissà…
La speranza è l’ultima a morire. In queste ore sogniamo ancora. Sogniamo di un intervento non via terra, ormai impossibile. Sogniamo di un velivolo che si alzi in volo e che riesca a salire lì dove c’è il polacco e riesca a portarlo giù. Via terra sarebbe impossibile: salire e poi ridiscendere con lui in quelle condizioni. Ma, come detto, vi è stato già un no secco. Problemi meteo. Problemi militari. Tecnicamente si potrebbe anche fare (in passato è stato fatto), ma il Pakistan a riguardo ha normative serrate. Sogniamo…
E che dire su Urubko e Bielecki: grazie, grazie davvero per aver dimostrato, anche al più scettico dei giorni d’oggi, che l’uomo sa essere davvero speciale.
Ora c’è una via sul Nanga Parbat che si chiama Mackiewicz-Revol. Una via che ha seguito il tentativo del 2000 di Reinhold Messner e Hanspeter Eisendle che raggiunsero quota 7.500. Anche un team austriaco ci provò nel ’91; poi un altro, sempre austriaco, nel 2008. Entrambi non superarono i 7.700 mt. Ora la via si chiama Mackiewicz-Revol.
Il Direttore
Doveroso